Non parlerò del terremoto dell’Emilia. I filari di tende blu e gli anziani semisvestiti per il caldo. L’acqua, la grandine e la pioggia sulla ghiaia dei vialetti. Lo sguardo di un vigile del fuoco. La cravatta di un sindaco, il presidente del consiglio e i ministri, a turno. I caschetti rossi o gialli, il telefonino sempre in carica, la piccola folla che esce alla scossa più forte. l’incapacità di dormire e i disturbi del sonno. Non avere la terra sotto i piedi. I vestiti degli altri. Le borse con la vita dentro o . pacchi di cartone o cartoni di acqua minerale.Altrove, la città. evacuata. Piccoli paesi, evacuati. Gente che sale sull’autobus e per destinazione un albergo della costa. File di macchine. Bambini dai visi troppo seri. Sguardi chiusi: la vita che cambia in un secondo. Tutta la normalità di prima ridotta alla carta d’identità: un nome e un cognome. Il tempo che non passa mai, per te. Per gli altri sei una delle tante immagini che scorrono su un televisore, magari un megaschermo al plasmon, e ti guardano sdraiati o seduti nel salotto di casa. Non riesco a parlare di voi, stasera. . E non riesco neanche più a parlare di me.

me, davanti alla prefettura. che è ancora così. Io no, sono molto cambiata in questi tre anni di attesa.
Certe volte le parole non si trovano.Amarcord.