Diario apocrifo : omaggio a LAUDOMIA bONANNI
La nostalgia? Forse è un viaggio nella macchina del tempo. Si torna ai luoghi. La mia casa natale, in via Garibaldi 75, ai balconcini dove tante volte mi sono affacciata. Quando ero bambina, le strade erano lastricate con grandi pietre bianche. Molti incanti si sono persi, molti sono rimasti. Si torna ai luoghi: dal balconcino osservavo il casamento di fronte: i prospetti rientranti, il giardino, il cancello, la fontanella barocca con la conchiglia. Dall’alto dei tre balconcini si godeva una bella vista della città: una cascata di tetti rugginosi che parevano accavallarsi. Invece in mezzo c’era un labirinto di sdruccioli e di chiassetti: del Guasto, delle Streghe, delle Stimmatine, dei Poeti, con le targhe sbreccate, appena leggibili. E’ sempre stato così con questa città; odio e amore, mescolati, inestricabili.
Rioni antichi, bifore per lo più otturate, residui di tortiglioni lungo le facciate di pietra, le aperture dei bassi a sesto acuto, sormontate da stemmi corrosi dalla simbologia complessa e misteriosa, in gran parte dimenticata; un angelo, lo scudo e nello scudo un’ala in volo trafitta da una freccia. Leoni duecenteschi all’ingresso di una chiesetta, il dorso lisciato ad avorio dalle cavalcate dei bambini, rosoni e portali del romanico più tardo, con gli acanti smozzicati dal tempo e dalle sassaiole.
Tutte le città hanno un anima. Conoscete quella della nostra città?
Se ve ne andate a zonzo per straducce e vicoli, vi accorgerete subito che non è una conoscenza facile. Ad un tratto vi sentirete il fiato grosso. Già, perché non si fa altro che scendere e salire. Siamo insomma in montagna anche dentro la città. Mi capitò per caso di scoprire, sulla facciata di una casetta medievale con bifore, un piccolo giglio nero in ferro battuto. Uno solo, verso lo spigolo di destra. Piccolo, stilizzato come il giglio fiorentino. E poi altri, alcuni più ricchi e anche più numerosi. Messi molto in alto, di qua e di la degli spigoli, a coppie, con petali spiegati, grandi a quattro petali esterni e quattro interni, nel mezzo il pistillo con capocchia. Secondo l’importanza della casa o del palazzo: vi stanno da oltre due secoli, a testimonianza e gratitudine per essere stati salvati dal terremoto del 1703. Fiore di devozione e per grazia ricevuta. Ma bisogna alzare gli occhi, altrimenti non si vedono. Il fiore del terremoto, ben battuto in solido ferro, sopravvive insieme alla memoria storica dell’avvenimento. Del resto il tempo è come l’acqua, si porta via ogni cosa in polvere.
L’infanzia … Ore taciturne accanto al fuoco; in montagna la gente sa guardare all’infinito il linguaggio della fiamma e il vorticare della neve, senza noia. Volevo raccontare la vita, quei piccoli fiori gialli che nascono nella spina di pesce a mattoni sulle scalinate delle nostre chiese, le violacciocche marroni che ogni anno spuntavano nei trafori del rosone e che mai mancavo di guardare. Nascevano in quel poco terriccio portate dal vento, quasi espresse dalla pietra.
Mi piaceva passeggiare, lentamente, a lungo. Quando non c’era nessuno me ne andavo dietro la chiesa, salivo e scendevo i gradini tondi di pietra, ripassavo sotto i tre archetti del Campanaro. A volte, ero quasi felice. Mi piaceva arrivare fino al Castello; dal bastione guardare le nuvole o il Gran Sasso, colorato dall’ultima luce del sole e pieno di neve.
Nella nuova casa, in via XX Settembre, di notte brillavano i grappoli di luci dei paesi. Più in qua le luci della stazione, i treni con lo sbuffo di fumo. Immediatamente sotto scendeva un terreno coltivato a fiori e due piccolissime casette, sotto il pendio; il passaggio a livello, con il suo campanello, scandiva le mie notti insonni passate a leggere, a scrivere. Anche i i libri sono figli che se ne vanno da soli per il mondo. Sono all’ultima storia, io, io che ero una di domani. Ma che resti, qualche pagina. Voglio salvarla. Ne faccio un pacco ben legato, sigillato e con precise istruzioni, da inviare a, da consegnare a. Da pubblicare. Forse in un libro si può continuare a vivere. Arrivederci. Laudomia