I GIGLI DELLA MEMORIA: LE PRIME RIGHE DI UNA NARRAZIONE COLLETTIVA

SEZIONE 1   NUMERI

 

Quattro umani e tre gatti ( Maria Cristina Rosa)

 

Eccola. Eccola,  eccola. Eccola. Pensavo solo questo e questo ripetevo, mentre cercavo di alzarmi, di chiamare i figli, di trovare la porta.Eccola, eccola. Ma eccola chi? Ma eccola cosa? La scossa, la paura, la fine? La morte?Iniziò con uno scricchiolio, un cigolìo…

 

30 secondi ( Stefano Carnicelli)

Appena trenta secondi; il tempo necessario per distruggere e stravolgere i destini e le vite di un’intera popolazione. Solamente trenta brevi, insignificanti, marginali, terribili e fatali secondi. Purtroppo è arrivato anche questo tempo che nessuno mai avrebbe voluto vivere: un terrificante appuntamento con un destino  molto più grande e forte di tutti noi messi insieme…

 

720 minuti ( Fabio Iuliano)

Ore 3.35: non trovo i pantaloni. Al buio non trovo i pantaloni. I jeans che avevo addosso la sera prima devono essere ai piedi del letto. Sono sicuro di averli lasciati lì, ma non li trovo. Mi sento un cretino se penso a tutti quei discorsi sulla prevenzione, con cui abbiamo riempito i giornali senza capire neanche quello che stavamo scrivendo.

Il quarto pilastro ( Adriano Sabatini)

Quella notte, dopo tante scosse premonitrici, arrivò quella devastante: così intensa e prolungata che la casa sembrava essersi trasformata in una vecchia lavatrice,  con il programma di centrifuga avviato. Sbalzati dal letto, ci riunimmo nella parte della casa che ritenevo più sicura.  Anni prima, mio suocero,  si adirò con il progettista perché  durante i lavori di costruzione,  al centro, saltò fuori un quarto pilastro che nel  progetto originario  non era previsto.

 

25 settimane  ( Patrizia Santangelo)

Il 6 aprile del 2009,  Edoardo era dentro di me da 25 settimane: è stato lui, con i suoi calci e con i suoi pugni, il termometro della mia paura. Mio marito ed io avevamo deciso di dormire a Villa S.Angelo quella notte, a casa di mia madre. Ero molto stressata dallo sciame sismico  che ci perseguitava sin  dal mese di dicembre, anche se la  mia preoccupazione, dopo le rassicuranti dichiarazioni della Commissione grande rischi: “Non- c’è- da- preoccuparsi; L’Aquila- trema- ma- non- crolla; più- scosse ci – sono- più- energia- si- libera” si era affievolita.

 

 

 

ANNO ZERO ( FEDERICA MEOGROSSI)

 

Non avevo paura del terremoto.

Sorridevo quasi con distacco quando le amiche si dicevano spaventate da quelle scosse sempre più forti e ravvicinate,  che ormai ci facevano compagnia da mesi.

Anche il 30 marzo, dopo lo spavento del momento, ero tornata alla mia calma placida di fronte a quei sussulti della terra che, mi convincevo, facevano parte della nostra vita, come il freddo pungente e la brina dell’inverno.

 

TRE E TRENTATRE’    ( Luisa nardecchia)                                                                                                            

Muti. Scendiamo le scale, i piedi pesantissimi. Le pareti si rigano di un zig-zag nero, e scricchiolano di un rumore mai sentito. “Si sta spaccando”. Saliamo in macchina e le scosse continuano: tre ore lunghissime a occhi sbarrati. L’autoradio accesa, indifferente, gracchia poco o niente.   A Piazza D’Armi. E’ lì che mio padre ci portava quando eravamo piccoli e faceva il terremoto, così ora ci andiamo anche noi, perché è lì che si va. Quando si è in tanti la terra trema di meno, o non la senti così forte come quando sei da solo.

 

 

 Sezione 2  LA LISTA

La lista (Raimondo Fanale)

Mi sveglio: la volta si apre e la polvere mi cade negli occhi.
Sento un rumore di vetri rotti e guardo il lampadario. Non capisco: oscilla lentamente. Oscilla, ma è ancora lì, attaccato al soffitto.
Mi guardo intorno e vedo la vetrina del mobile dei miei genitori ancora intatta; mi sono addormentato, seduto sul loro divano, dopo una cena in famiglia.
Nessun vetro rotto e una seconda oscillazione del lampadario.
La luce è accesa e il divano si è spostato in avanti.

Gocce di valium      (Anna Pacifico  Colasacco)

Le scosse si susseguivano da mesi. Tante. Troppe perché il sistema nervoso non ne risentisse. Le ultime di quella notte ( era la domenica delle Palme) erano state forti. Mia madre e mia sorella erano sul letto matrimoniale, mio marito e  io avremmo dormito sui divani, in salotto. Nessuno di noi era nella propria casa. La paura ci aveva fatto scegliere un’abitazione messa a disposizione da amici. Non potevamo sapere che ci saremmo trovati sull’epicentro

 

Il lampadario del  Magoo ( Stefano Catastini)

Cominciamo  dalla sera prima…

Ero dentro il Magoo, in  via Sassa , seduto proprio sotto il lampadario dell’ingresso. E’ arrivata la scossa delle 22 e 45 ;  la prima  che ho avvertito in tutta la  mia vita! Ho sentito il tremare lo sgabello; mi sono guardato intorno e mi è venuto da sorridere…Mi sono detto : “Eccolo,  il terremoto:  finalmente l’ho sentito anch’io”.  Il lampadario  oscillava ma   siamo usciti,  con  tutta calma,  dal locale. Non avevo in testa l’esatta misura di cosa potesse  significare il terremoto.

 

Le chiavi della macchina ( Fabio Sabatini)
Alle ore 20 del 5 aprile 2009 dovevo incontrare due amici e con loro  andare a vedere la  partita Milan-Lecce,  al Bowling di Sassa. Ricordo bene che al primo goal del Milan mi sono detto:”Vuoi vedere, mo’ che  ha  segnato Senderos  fa  una  scossa?”
Neanche il tempo di dirlo:  ecco la prima forte scossa…erano le 22.48. Sono rimasto  seduto.. come la maggior parte della gente che era lì. Finita la partita,  ho riaccompagnato i miei  amici  in città, in  via Arco dei Veneziani e sono tornato a casa, in Via  Fontesecco.

 

I sacchi  per la Caritas ( Maria Teresa Mosca)

Devo tornare indietro di qualche ora. Intorno alle 23 mia figlia era al computer (aveva trascorso tutto il pomeriggio a scrivere
una relazione sui … terremoti) ; io guardavo  la  tv. Sul televideo compare la scritta di un evento sismico tra Forlì e Cesena.. Non mi preoccupo più di tanto,  in quei  giorni “ballavamo“ spesso. Con la scossa delle 00.39 però il PC si blocca;  internet non funziona più. Convinco mia figlia ad andare a dormire: “muoviti,  domani devi andare a scuola!” Mi vuole a dormire con lei: l’accontento. Cuore di mamma,  le dico: metti

Le posate d’argento   ( Fabrizia  Petrei)

Il telefono squilla.

La scritta “Laura” lampeggia, taglia il buio, a intermittenza. “Che ore sono, le 3.47. Ma è tardi.Avrà di nuovo litigato con Mario, non rispondo, mi dirà domani” penso, nel sonno. No, devo rispondere, è notte fonda, avrà bisogno di me. “Hai sentito i tuoi?” faccio un salto sul letto. “Laura,  che è successo?” “Un terremoto, ci ha svegliato anche qui a Roma, ho sentito che è stato a L’Aquila. Ho provato a chiamare Francesca, ma non ci sono riuscita, magari li hai sentiti tu…”.

 

 

 

Le tendine rosse ( Maria Grazia Cucchiarelli)

Il  5 aprile,  domenica delle Palme,  mi sono dedicata alla pulizia della mia casa.

Le “pulizie di Pasqua”,  che mia madre cominciava ben prima della settimana Santa, sono sempre state per me una consuetudine necessaria e ineliminabile. La mia casa è/era grande.  Ho cominciato il lavoro dalla mansarda.

L’intera giornata a pulire poco più di 60 mq. Mattinata impiegata a  spostare oggetti, sistemare cassetti, spolverare, lavare. Il pomeriggio  mi sono “applicata” a cucire delle bellissime tendine rosse.

LO SPECCHIO GRANDE  ( RENZA BUCCI)

 

Avrò sempre il rimorso di non essere riuscita a convincere i miei cari di venire a stare  da me,  come invece era accaduto già un’altra volta: dopo la scossa del 30 marzo.  I letti che li hanno accolti quella notte sono rimasti aperti per mesi e ancora oggi ci sono le lenzuola dove immagino di sentire il loro odore lasciato in quelle poche ore di sonno.

Alle 3,32 del 6 aprile dormivo un sonno non tranquillo:  mia figlia aspettava una bambina e stava per scadere il tempo; ero preoccupata per il parto imminente, che immaginavo sarebbe stato precipitoso, come quello che  due anni  prima ci  aveva regalato Francesco, il nipotino più bello del mondo.

Ci siamo svegliati di soprassalto.

VESTITI E SOLDI ( ELISABETTA D’AMBROSIO)

Non sapevo che ora fosse quando   il mio letto ha cominciato a scivolare,  da tutte le parti.

Strani  rumori: il tintinnio della fioriera che sbatteva contro le ringhiere dei balconi, il tonfo  del mobile a parete della cucina, l’allarme di casa che suonava perché era andata via la luce, la centralina del computer, lo scricchiolio del legno dell’armadio posto di fronte a me e infine mio marito che urlava:”Oddio,  oddio!”.

Non sono riuscita subito  ad alzarmi perché lui mi teneva ferma; ma io pensavo ai bambini che dormivano nella stanza accanto

 

La coperta  rossa      ( Lidia Carlomagno)

Che cos’è, alziamoci, di corsa fuori, Roberto sbrigati, muoviti, Gesù mio è troppo forte, trema tutto, non finisce più.  Scalza ma vestita,  mi ritrovo su Costa Masciarelli. Non ho più fiato, urlo a mio figlio e mio marito di uscire di casa velocemente, i vicini cercano di calmarmi;  mio figlio urla dalla sua camera <sto arrivando, calmati!> Tutto questo mi è stato raccontato :io non lo ricordo.     Saliamo lungo la Costa ,  con il solo desiderio di arrivare in piazza. Vengo trascinata a forza, urlo, piango, mio figlio mi sorregge,la vicina mi schiaffeggia:  sono fuori di testa per la paura. C’è una gran puzza di gas, arriva un’altra scossa

 

SEZIONE N 3 A PIEDI NUDI.

A piedi nudi  ( Patrizia Ferri)

Da giorni cercavamo di adottare comportamenti “ preventivi” : automobili parcheggiate già all’aperto e borsoni con indumenti già pronti.  Un borsone con pochi indumenti si trovava,   da circa un mese,  sui sedili della  mia auto, suscitando l’ilarità degli amici e dei colleghi con cui viaggiavo normalmente per recarmi al mio luogo di lavoro.  Uno di questi colleghi, incontrandomi  qualche mese dopo, mi ha detto: “ti ho pensata molto in questo periodo! Ricordavo sempre il tuo borsone pronto!”

LE BALLERINE DI VERNICE ROSSA ( LAURA PELLICCIONE)

Il lunedì mi sarei dovuta alzare alle 6.30. Tutto era pronto: la borsetta termica in cucina con il pranzo, il camice stirato di fresco e ben piegato pronto per l’uso, i vestiti pronti sulla sedia vicino al letto, il cappottino di felpa, le ballerine di vernice rossa in ordine, al lato del comodino , i telefoni con la sveglia programmata. La prima scossa: “Albè, l’hai sentita?”,“Si, l’ho sentita”. Mia madre chiede: “ l’avete sentita?”- “Sì,  ma ormai è passata”.

 

 

Scalzi  (Silvia  Gisotti)

Non potrò mai dimenticare quella notte…Erano le 3.32: mio marito mi sveglia,  dicendomi “Silvia, è arrivato … E’il terremoto”.

Ci siamo alzati ma era completamente  buio e   la corrente era andata via. La casa si muoveva. Ondeggiava,  paurosamente,  da una parte all’altra. Il  nostro  primo pensiero  è stato di chiamare  i  figli:  Michele e Andrea.  Uno si era rifugiato sotto la sua  scrivania, l’altro aveva la porta chiusa;  ad essere sincera,  era stata la scossa a bloccargli la porta. Siamo riusciti ad aprirla e a  farlo uscire.  Solo allora  ci siamo abbracciati, tutti:  stretti stretti.

Una scarpa e una ciabatta ( Paola  Contento)

 

Non dormivo più  nella mia camera,  da circa due mesi:  “alloggiavo” nel divano letto del soggiorno per  stare più vicina a mio figlio. Romolo e Magda,  i miei  vicini mi avevano rassicurata,  verso la mezzanotte : “stai tranquilla,  la casa è sicura…”

Il rumore sordo,  inusuale,  di quella notte  mi informa che non è la solita scossa.

Le pareti del soggiorno cominciano a muoversi; sembra vogliano camminare per incontrarsi;  mio figlio non si sveglia e cerco di aiutarlo con dolcezza, prendo tempo per non impaurirlo.

Scarpe e ciabatte ( Raniero Pizzi)

“Speriamo”.

E’ l’ultima parola che ho digitato sulla tastiera del computer di casa. Ora quella tastiera, insieme al computer, agli strumenti  di lavoro e alle cose care di tutta una vita, è sepolta dentro una casa di via Campo di Fossa. Ho perso tutto, tutto tranne la cosa più importante: la mia vita e quella dei miei cari. A qualcuno è toccata sorte ben peggiore.
“Speriamo” era la parola che avevo scritto nell’ultimo messaggio ad  un amico di Facebook. Parlavamo di terremoti

 

SEZIONE 3 QUI, E’ ANCORA NOTTE

La prima sigaretta ( Walter Cavalieri)

Abito a Coppito, in un appartamento con giardino.

Quella sera, prima di andare a dormire, mi ero trattenuto un bel po’ davanti al computer;  fino a mezzanotte inoltrata,  con gli amici di Facebook  si commentava la recente scossa (magnitudo 3,9) avvertita intorno alle 23. C’eravamo quasi abituati,  dalla metà  di dicembre,  a convivere con centinaia di scosse,  e riuscivamo quasi a scherzarci su

Davanti alla tv.  ( Patrizia Petricola)

Dormivo nel mio letto.  ma alle 3.32 , mi sveglia. Non di soprassalto,  poco a poco. Secondo dopo secondo , la mia mente  riacquista lucidità. Botte, sotto e intorno al mio letto. Botte.  Ancora botte. “E’ forte. Dio, quant’è forte. E’ fortissima!”. Il sonno mi ha fatto perdere il grande boato iniziale che tanti,  poi,  mi hanno raccontato, ma  ho sentito invece  fino in fondo  lo scricchiolio proveniente  dai mobili della mia stanza.

DIETRO UN VETRO ( CRISTINA Busilacchio)

I ricordi si confondono.  Il giorno dopo avrei  dovuto fare la prova di tesi con il mio relatore,  a palazzo Camponeschi, all’Università. Già tutto fissato:  alle 14,30 del 6 Aprile. Le solite piccole abitudini,  prima di andare a dormire: vado in bagno e torno, indosso il pigiama e penso: potro’ dormire sino alle 10, metto la sveglia alla solita ora. Invece vedo mio padre  ancora sveglio,   disteso sul letto ma  completamente vestito e ha già messo una candela, sul comodino. Non dico nulla e penso: “quando finira’ questo terremoto?”

La coda del drago ( Francesca Curtacci)

Mi trovavo con la mia famiglia nella mia casa in Via Arischia,  ( a fianco della Chiesa di San Pietro ).Dopo la scossa di mezzanotte,  avevo  deciso di far dormire nel lettino con le sbarre del fratellino,   mia  figlia che aveva 2 anni e mezzo,  perché  si era molto spaventata delle scosse precedenti. . Il piccolino,  di  soli 7 mesi, avrebbe dormito in mezzo a me e mio marito; così  almeno  potevamo stare  tutti nella stessa stanza. Alle 3.25 circa il piccolino si sveglia perchè ha fame; lo attacco al seno.    Dopo pochi minuti  si  scatena il l’inferno.

 

L una Piena ( Paola Bartolomucci)

Alle 23.00  avvertimmo una scossa: decisa, forte, un secco sussulto sotto i piedi. Accendere internet, cercare  su Facebook in quei momenti era diventato normale già da qualche mese, oserei definirlo un atto dovuto di “fratellanza on line”, forse un modo  per “esorcizzare la paura” .

Beatrice,  la mia piccola di 8 anni, dormiva placidamente;  Laura, la maggiore, si aggirava nervosa e mi aveva già sollecitato in “malo modo” come una tipica diciassettenne in rivolta con il mondo,  a spegnere il computer.

Primo nemico, il sonno     ( Reinaldo del Vecchio).

Una notte  come tante,   trascorsa  nella speranza di non avere un  risveglio sgradevole . . Erano notti  tempestate da  continui  risvegli frequenti: piccole scosse e piccole paure. Invece  proprio quella notte , ci ha sorpresi  addormentati,  e dentro casa.. Avevo  quasi percepito debolmente la  prima scossa,   forse quella delle 11,15 ; ( non ricordo bene l’orario):  ma  fiduciosi che non ce ne  sarebbero state altre,  siamo rimasti in casa ..

Un ballo in macchina ( Cristina Spennati)
Ricordo il buio. Nel buio un rumore assordante,  un martello pneumatico, che aumenta di intensità; d’istinto mi sono buttata sopra il mio bambino, per proteggerlo da eventuali crolli, e gli dicevo “zitto mammì, zitto, che mo’ passa” 30 secondi: i  più lunghi della mia vita.
Mio marito   di corsa, giù per le scale,   ha spalancato  la porta della mia camera, gridando con il terrore negli occhi:  mai l’avevo mai visto così.


Colazione all’aperto ( Mario Rotellini)
Paganica,  5 Aprile 2009 ore 22,45:  ennesima scossa. Di nuovo un fuggi fuggi
generale verso luoghi sicuri, nelle auto, camper o roulotte. Quella sera non
era fredda;   c’era tanta gente  in giro che cercava di sistemarsi per la notte. Per
passare il tempo si parlava, si raccontavano barzellette, non si aveva voglia di rientrare nelle proprie abitazioni perché c’era la paura e il sospetto che potesse arrivare un terremoto più forte.

 

Qui, e’ ancora notte  ( Cristina Mancini)

Oggi, mentre scrivo, il cielo è livido e carico di pioggia. Fa freddo,  come in inverno;  nulla ricorda il dolce tepore primaverile di quella domenica delle Palme dello scorso anno.
5 aprile 2009: cerco nella memoria frammenti di immagini ,  sensazioni,…Di quell’ ultimo giorno della mia prima vita mi restano solo pochi insignificanti particolari: il consueto pranzo nel tinello di mia madre , il pomeriggio ad oziare in casa, qualche faccenda domestica, i figli maschi al cinema con il loro papà. Poi la sera, gesti consueti, una cena improvvisata con quel poco che c’è in frigo

Da qui non ce ne andiamo  ( Biancamaria Cimini)

Ore  3:31:48: dormo  con mio fratello Giancarlo,  nella parte bassa del nostro letto a castello. Sono scesa alla scossa dell’una:  rimanere a dormire nel mio letto, in un soppalco alto 2 metri , mi fa paura: forse staremo un po’ stretti, ma sarà solo per stanotte…

3:32..Cosa è questo boato? Giancarlo si sveglia, si gira e mi abbraccia. Mi stringe forte per non farmi muovere

 

 Sezione n 5  l’esodo

L’esodo   (MAQ)

Ero a letto: dopo una giornata passata a Roma per un raduno di Auto d’Epoca. Avevo  trascorso un po’ di tempo davanti il pc,   sentito e commentato tutte le scosse precedenti: dopo mesi di scosse,  era diventata una consuetudine  cercare di indovinarne la magnitudo; così l’ultimo saluto su Facebook era stato dedicato  all’ultima scossa:  “ anche stasera ci ha dato la buonanotte”.Ci scambiavamo anche  SMS con alcuni amici,  per tranquillizzarci a vicenda e poi,  a nanna.

Il  boato mi svegliò:  iniziò a muoversi, ruotare, ballare tutta la casa.

 

 

 

Verso il mare  ( Sonia Castellani)

 

Di quel giorno non ho una visione nitida, ma immagini in sequenza…

Il muoversi tutto intorno a noi, io che nel sonno urlo, mio marito che mi blocca con un braccio come per non farmi cadere, i miei figli che chiamano, il più grande che non riesce a muoversi, bloccato com’è dalla paura e dal buio totale…

Riesco a raggiungere la sua camera, costruita in un’altra ala del nostro appartamento;  lo abbraccio e lo consolo…Afferro l’altro bambino, mentre mio marito e mia figlia sono già sulle scale.

 

La domenica delle palme   ( Marina Lauri)

Domenica delle Palme: processione con i nipoti che sventolano al vento le loro palme d’ulivo e seguono me e mio marito salutando felici e ignari i loro genitori. Celebrazione nella Chiesa di San Pio X . Pranzo, riposino e passeggiata lungo il Corso. Un giocoliere  attrae la nostra attenzione e partecipiamo ai suoi giochi …c’è tanta gente che si diverte. Rientro a casa, il giorno dopo è lavorativo per mio figlio e scuola per i miei nipoti, mia nuora ha una lezione all’università.  La sua seconda laurea la impegna molto, ma, ringraziando Iddio, abbiamo le case sullo stesso piano e possiamo aiutarci senza stress.

  VOLTARE PAGINA   ( MANUEL Romano )

Racconto la mia storia, una storia come quella di tanti i persone e tanti  ragazzi, per fortuna più a lieto fine rispetto ad altri  miei amici o conoscenti.

Erano le 3 e 32 del 6 aprile 2009 quando tutto incominciò

Ero a letto.  Alle 3 e 32 mi sono svegliato:  la casa  tremava, scricchiolava. Sono sceso subito dal letto appena si è calmata un po’ la situazione, mentre cercavo di mettermi sotto una colonna portante;  lì  mi sono riunito con i miei genitori. Cadevano pezzi di muro o  intonaco;  eravamo scalzi tutti e tre,   tutto era per terra, vetri ovunque.

 

 

Tutto è compiuto ( Francesca Luzi)

Tutto è compiuto.Il mio mondo sembra abbia appena smesso di scuoterci violentemente. Mi chiedo perché l’ha fatto e perché siamo ancora vivi. Sono lucidamente convinta che la nostra vita, almeno quella di sempre sia appena terminata, mentre Marco è ancora in bagno che cerca di sollevare il mobile alto rovesciato sulla scarpiera per riuscire ad aprirla e mettersi qualcosa ai piedi.

 

ED E’ TUTTORA COSI’   ( ROSA MINERVINI)

Erano tre mesi che si conviveva con le scosse.

Mio figlio ed io avevamo cominciato a dormire in tuta, con le scarpe e il giaccone a portata di mano e non sapevo di altra gente che da tempo dormiva in macchina o passava le nottate, in giro, per Piazza Duomo. Questo modo di vivere mi turbava, ma rimuovevo sistematicamente questo pensiero.

Ora mi rendo conto che la cosa era alquanto strana: si viveva, da tre mesi, in questa città, esorcizzando il pericolo imminente.

 

SEZIONE N 6 VOCI

Con amore infinito ( Vincenzo Vittorini)
Un mostro che divora tutto.  Una tragedia annunciata. Non un boato, ma un urlo terrificante. Poi, un silenzio assordante. Il buio, nero come la pece. Poi, le grida di dolore.

Provi un terrore mai provato. Non sai che ore sono: è giorno? è notte? C’è solo il buio pesto. Io,Claudia e Fabrizia siamo schiacciati da tonnellate di macerie che erano la nostra casa, il nostro rifugio, dove credevi che la tua famiglia fosse al sicuro da tutto e tutti. Gridi,ti muovi come un animale in gabbia,cerchi di uscire … ed  invece vai giù,sempre più giù.

 

 

 

 

 

 

L’Intervallo della vita ( Pamela Fiorenza)

 

Eravamo tornate a casa verso le undici. Avevo intenzione di svegliarmi presto, per scrivere la tesi. Appena entrata nel letto una scossa forte mi ha fatto tirar via le coperte. Sussultoria o ondulatoria? Quando trema, trema in ogni direzione. Sono arrivata in corridoio e ho acceso la luce. Mia sorella era lì, sulla scaletta e respirava male. Ci siamo guardate un attimo. Papà non è uscito dalla camera. Mamma era a Roma.
Mia sorella ha detto Che facciamo. Ho detto Dài, andiamo a letto. Ha detto Ma ho paura. Ho detto Ma paura di cosa? Poi ho detto Vieni a dormire di là con me. Ha detto No torno in camera.
MI FERMO QUI ( Annunziata Grancuore)
Quando tutto è cominciato, il primo istinto è stato quello di proteggere mio figlio con il mio corpo , aspettando che passasse.
Ma non finiva, e la terra non smetteva di tremare : tra suppellettili e calcinacci che cadevano, siamo riusciti ad uscire a prendere l’automobile per  allontanarci.
Il tempo di due telefonate: ai miei per darci un punto d’incontro, ed ai miei gemelli (solo dopo scoprirò che avevano perso la zia in quella maledetta notte) per assicurarmi che il padre li abbia portati fuori al sicuro e il cellulare mi abbandona.
Siamo spaventati ma comunque vivi

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Anime salve” ( Roberta Marinucci)

Sono a letto che leggo,  mentre mio marito dorme. C’è già stata una scossa forte verso le 11 ma ho imparato a conviverci, come tutti. Sto leggendo un libro di storia locale sui terremoti dell’Aquila e arriva un’altra scossa verso l’una. Questa però è più forte. È da tempo che si vive in questo stato di ansia. Lo sciame sismico avrebbe preceduto la scossa forte e distruttiva : in passato era  già accaduto. Però  mi sentivo fatalista , mi rassicuravo pensando  che la mia casa, di recente costruzione, forse avrebbe retto. Chiamo per la seconda volta al cellulare mia figlia che  ancora non rientra.  Le dico di tornare a casa senza prendere l’ascensore.
Finalmente riesco ad addormentarmi con il solito senso di precarietà/fatalità delle altre. Notti.

 

 

 

Voci ( Anna Guerrieri)

 

 

Voci di famiglia nel calore della cena. Il lavoro, la scuola, il rumore delle posate nei piatti. Voci usuali e affettuose, voci che ridono e discutono. Voci fatte di luce. Scivolano sulle pareti della stanza e le disegnano, delimitano. Le voci sono i confini dell’intimità. Le nostre voci pudiche. Le voci di chi sta andando verso la notte e le necessità della famiglia, verso i doveri del giorno dopo. Voci che si fermano ad ascoltare i bisogni dei figli. Le voci di sempre.

 

QUI IO TI AMO ( LUCA VESPASIANO)

“Qui io ti amo”. Non l’ho mai detto a nessuno. E siccome stavo per morire, lo dissi al buio e al mondo. Non ho sentito la mia voce, ero come paralizzato.

Mi hanno sempre infastidito le memorabili ultime battute dei film o delle tragedie di Shakespeare. Mentre muori, pensavo, non ti metti di certo a fare il poeta, muori e basta, con la rabbia o la desolazione, con l’orrore e la paura tra i denti. Puoi al massimo aggrapparti a quell’ultimo brandello di fede se qualche Dio te l’ha data. Alla storia delle morti gloriose non ho mai creduto: la morte è uno schifo, e quando muori ci sei dentro fino al collo.

 

I nomi dei gigli ( Giustino Parisse)

L’ultimo sms della mia vita lo avevo inviato dieci minuti prima dell’una. Il sei aprile del 2009 era da poco spuntato sul calendario. Un messaggio breve, poche righe <Pentiti, sta arrivando la fine del mondo>. Lo lesse un collega giornalista, già mobilitato, nella notte, dai ruggiti della terra che tormentavano le ore e i giorni dei paesi adagiati nella valle dell’Aquila . Fu quasi un ghigno, l’ultimo cinico ghigno di un tempo che stava per fermarsi. Per sempre.

 

 

Sezione 7 Gli intrusi

L’intrusa ( Bianca Mollicone)

Non sono nata all’Aquila, non ho studiato, non abito e non appartengo all’Aquila. Sono un’intrusa nella Banca della Memoria. Eppure l’Aquila mi appartiene da sessanta anni, da quando ne ho memoria.

Come tutte le genti della dorsale appenninica, però,  sono nata e cresciuta su terre di faglie attive…

Su una delle faglie della Valle Roveto,  sono nata ; 33 anni esatti dopo il terremoto che aveva colpito anche la mia zona,  il 13 gennaio  del 1915.

Casamé     (Alessandro Cappa)

Nella scorsa data del 5 aprile 2009 alle ore 24:00 circa, tramite Sky tg24,  appresi che in località Forlì c’era stata  una scossa di terremoto. Immediatamente chiamai un mio collega nonché amico per capire bene cosa fosse accaduto:  in considerazione del fatto che dal Natale del 2008 c’erano continue scosse, nella mia terra, a casamé, all’Aquila.

Nella  notte ebbi un sonno molto leggero ed inquieto:  temevo che potesse accadere qualcosa, troppe scosse e troppo ravvicinate per poter stare sempre tranquilli

 

In vacanza,  a Camarda ( Enzo Alloggia)

Io e mia moglie Maria siamo   tornati subito  in Svizzera “sani e salvi”,  da Camarda, dove eravamo arrivati  proprio Domenica 5 Aprile,  nel pomeriggio. Camarda si trova a 14 Km dall’Aquila ed è stata distrutta dal terremoto del 6 Aprile delle ore 3.32,  per il 70-80%.

Ringrazio gli amici che mi hanno chiamato sul telefonino sin dalle prime ore dopo il sisma di Lunedì; la nostra casa ha tenuto (per nostra fortuna) anche se ci sono crepe che ci entra la mano.

 

 

 

MI chiama  AQ ( Jessica Zarivi)
Mi trovavo a Milano, per ragioni di studio. Ero sveglia: saranno state le 6 del mattino.  Squilla il telefono.  Il numero che compare è quello di casa dei miei  genitori.  Strano . Ma prima  di arrivare a conclusioni affrettate, ho risposto immediatamente : “ Pronto! Come mai mi chiami a quest’ora? Avevi bisogno di qualcosa ?” Dopo un silenzio agghiacciante,  mio fratello mi dice :   “ Jè… Senti…qua c’è stato il terremoto…”

Non mi sono allarmata, era solito scherzare quando mi chiamava, ma su una cosa del genere.. bah! “Ma che dici?” “Guarda che è stato proprio forte..”

 

Una promessa per L’Aquila. ( Kristian Pelà)

Senza dimenticare tutto quello che era già’ successo in Italia e nel Mondo, ed ha continuato a succedere anche dopo …

Il terremoto dell’Aquila mi colpì’ in particolar modo per la distruzione e l’annientamento di una Città in pochi istanti.  Da qualche tempo,  con un mio amico avevamo in progetto di fondare una Associazione di Protezione Civile e mai come in quel giorno avrei voluto averlo  già  fatto , per poter aiutare tutte quelle persone in difficoltà.

. Quando mi arrivò la notizia erano le 6,30 del mattino.

Gli ospiti inattesi ( Antonietta Soldati)

Mi chiamo  Antonietta Soldati e sono nata a l’Aquila,  ma vivo da sempre a
Roma. Il legame con la mia terra di origine e’ sempre stato molto forte; ora  e’
diventato indissolubile. La mia mente mi dice:  rimuovi e dimentica.. ma il mio cuore mi “comanda” di ricordare. Le mie radici sono troppo profonde.Fin da bambina tornavo, ogni estate,  a passare  le vacanze presso la mia  “vecchia” casa,  in un paesino che si chiama Colle di Lucoli, vicino a Roio,  dove  purtroppo più volte e’ stato registrato l’epicentro del terremoto.

 

 

 

 

Metti una notte a Roma ( Adriano Di Barba)
Da  qualche mese trafficavo su FaceBook, per ingannare il tempo  di serate televisive noiose e per ricercare amici e persone che avevo perso di vista, durante una vita da girovago.
Mancavo dall’Aquila da 40 anni, senza considerare qualche sporadica gitarella fatta per accompagnarci in visita qualche amico venuto a trovarmi a Roma, e  una piccola vacanza, piacevolmente indimenticabile, con la mia famiglia, anni addietro.
Tutti, amici e famigliari, ogni volta  a meravigliarsi,  increduli che esistesse un posto così, tanto vicino a Roma, così  poco conosciuto …

 

“ Non accendere il televisore” ( Davide Simone)

Il tepore avvolgente delle federe ad accarezzarmi la pelle, l’abbraccio della trapunta ad avvolgermi le gambe, il soffice sostegno del cuscino, la quiete consueta della mia sfera domestica a cullare i miei sogni; questa, per me, è stata la scossa. Questo, per me, è stato l’inferno nel suo vigliacco manifestarsi, è stato l’urlo, è stato lo schiaffo del destino con la sua mano di pietra, di terra, di fango e di ferro. Si, perché io non c’ero. Io sono un “intruso”, un aquilano di Secinaro trasferitosi da bambino e che quel giorno avrebbe dovuto esserci, per le feste, ma che non c’era.

IL SALUTO DEL SILENZIO ( Thomas Pistoia)

Quella notte,  quando tv e internet cominciarono a dare la notizia ero ancora in piedi. Non compresi subito la gravità dell’accaduto.Pensai al classico evento udito solo da quelli che abitano ai piani alti, al campanare di qualche lampadario, all’ululato dei cani nei palazzi…Poi cominciarono ad arrivare le prime immagini e compresi la catastrofe.E cosa provai ?

Cosa provai…

Non prendiamoci in giro. Per provare qualcosa, per capire davvero… devi vivere lì.

Perchè il resto d’Italia vede tutto in tv e riflette quel tanto che basta.

Interviste (im)possibili: i Gigli della memoria

  LE INTERVISTE  ( IM)POSSIBILI

 PATRIZIA TOCCI  intervista  Tocci Patrizia

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Si, è il mio quarto libro.  Ho pensato che fosse un dovere, questa testimonianza. Ho  creato un gruppo su facebook, La banca della memoria: ed ho cominciato a chiedere,  ai miei contatti virtuali e non solo,  se volessero  condividere  questo progetto: raccontare noi, i testimoni, le prime dodici ore della notte tra il 5 e il 6 Aprile del 2009.  Volevo che fosse la nostra voce di abitanti dell’Aquila e dei paesi del cratere a raccontare quest’esperienza che rinnegava le parole. Sono sempre stata convinta che scrittura e terapia vanno insieme… Pian piano le adesioni sono arrivate. Non è stato facile: in alcun i casi le ho quasi “estorte”, dolcemente ma con forza. Per alcune ho atteso tempi lunghissimi. Ma anche questa attesa aveva il suo senso.  I testi, stando insieme, hanno cominciato a coalizzarsi, a riconoscersi…Così sono nate le 7 sezioni del libro: Numeri, La lista, A piedi nudi, Qui è ancora notte, Voci, L’esodo e gli Intrusi.

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Mi sono accorta di aver fatto anch’io un viaggio, in questi anni in cui ho lavorato per cercare di far emergere la voce di  ogni singolo testo, rispettandolo. Un viaggio nelle storie e nelle vite degli altri. Ci sono testimonianze che riguardano Camarda, Calascio, Coppito, Paganica, San Demetrio, San Gregorio… Zone o quartieri dell’Aquila come San Pietro, Costa Masciarelli, Via Sassa…Nomi che dicono ben poco ai non aquilani, e allora  spesso,  per sintesi,  usiamo dire L’Aquila…Sono testimonianze di ragazzi e  di adulti , di tutte le età e di tutte le professioni.  Autori più o meno noti:  alcuni  hanno un rapporto frequente o professionale con la scrittura, altri  hanno scritto per la prima volta per me. Oserei dire:  scritto per noi. Perché forse, la caratteristica de I gigli della memoria, la sua forza è che è stato un libro condiviso, in tutte le sue fasi: per questo ho usato il sottotitolo Narrazione collettiva. Anche per me ci sono state lunghe pause tra le varie fasi di preparazione del libro:  giorni in cui non riuscivo a trovare il distacco sufficiente da quei  testi che comunque mi riguardavano. Ci sono tanti rimandi tra la prima parte del libro e la seconda, nella quale ci sono soltanto i miei testi e che riguarda invece questo tempo post-terremoto: ma scoprirli toccherà ovviamente al lettore ideale.

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Ogni racconto è un giglio ed ogni giglio corrisponde ai gigli dell’Aquila, bellissimi abbellimenti finali delle catene di ferro che tenevano in piedi i muri maestri nelle vecchie case aquilane. La scrittrice Laudomia Bonanni sostiene  che siano   degli ex voto: e che questi gigli siano stati messi sulle case e sui muri rimasti in piedi dopo il terremoto del 1703. Quei gigli  ci sono ancora:  anche se un po’ nascosti e poco visibili, rappresentano ormai per me ( e non solo per me ) il simbolo della città. Mi piacerebbe che spuntassero di nuovo  su ogni casa ricostruita, a testimoniare dopo  la seconda distruzione e questa seconda voglia di rinascita. I gigli legano, in una catena di ferro, quelli che non ci sono più e quelli che verranno.

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Si, la post fazione di Paolo Rumiz è scaturita  proprio da una sua visita all’Aquila. L’ho accompagnato in zona rossa, perché volevo che vedesse i gigli, tra le rovine… ne è nato un episodio del dvd Le dimore del vento, con la regia di Alessandro Scillitani, allegato a La  Repubblica.

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Ho cominciato a scrivere quando ho cominciato a leggere…più o meno.La parola mi ha sempre affascinato.Mi sembra di ricordare che compitassi già all’asilo. Ho avuto  un nonno  che sapeva inventare ogni tipo di favole, aggiungere infinite variazioni. Conosceva a memoria lunghe filastrocche. Me le raccontava con infinita dolcezza e pazienza. Storie del paese, dei briganti, degli esserini che  vengono dalla notte e che  ti fanno i dispetti,  di quelli che ti nascondono gli oggetti o vivono sui rami degli alberi…Il mio destino era già segnato.

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Si, certo sono nata in un piccolo paese della Marsica, Verrecchie, in provincia dell’Aquila. In prima media ho letto Anna karenina. Tutto. Leggevo di tutto. Dalla piccola biblioteca scolastica ai volumi che una biblioteca viaggiante, nascosta  dentro un furgone, portava una volta al mese fino al mio paese… Avevo tanto tempo per leggere. Mi piacevano tutti i fumetti, soprattutto quelli da maschio: Zagor, Black, Diabolik, Tex. Leggevo, leggevo.

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Per anni i miei quaderni hanno stazionato , dalla casa alla cantina, poi in un altra cantina..poi nel forno..per fare il pane o i dolci…ed è giusto così..Ma dai 18 anni in poi sono sempre andata in giro , ovunque, con un quaderno o un’agenda nello zaino, nella borsa… Questi li ho salvati, quasi tutti. Anche adesso,  con un quaderno nella borsa. Così nascono i miei libri. Scrivo,  anzi mi lascio scrivere. Li chiamo i giorni delle nuvole: il pensiero è distratto e la mente sta altrove…Non so bene dove sia questo altrove. Ma ci entro..e ci resto, per un po’. Quando ne esco, ho un bottino di parole: che sia una poesia, un progetto, semplicemente una frase..qualcosa riemerge da quelle nuvole e si solidifica…a volte ne sono appena cosciente..sento che si sta agglutinando..che la parola si fa rotonda, come una caramella tra le labbra: e quel sapore..ogni volta è sempre un sapore diverso…amaro, aspro, dolce, agrodolce, piacevole o spiacevole…sa di mare e di montagna, sa..di tempo.

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Si,  il tempo mi ha sempre affascinato..ho sempre riflettuto sul tempo e la memoria…e non ne sono mai venuta a capo…Forse questo è il senso della vita: il proprio viaggio nel mondo e gli incontri che questo viaggio ci offre con miriadi  di esseri viventi: uomini e donne, animali gatti e cani, uccelli, fiori, alberi e foglie…ed anche libri..Sì,  certo,  libri: abbracci che ho stretto con scrittori lontani millenni e che pure sento come se  (mi)  fossero contemporanei…Ci sono libri che non si chiudono mai…restano con noi, dentro di noi.

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Sì, è stata una esperienza dolorosa. Però paradossalmente ha potenziato i pensieri, la visione, affinato la sensibilità. Ho ritrovato il gusto dell’essenziale : pochi vestiti, pochi libri, poco di tutto…tanto di altro…il mio motto è diventato: omnia mea mecum fero. Porto tutto dentro di me. Gli anni trascorsi, i pensieri, i ricordi, le esperienze..il tempo. Come una chiocciola, come una lumaca… A volte un millimetro o un secondo costano fatica…altre volte il cammino procede più spedito…

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Non so quando potrò tornare nella mia casa e nella mia città. La mia , come quella di tanti tanti, è una vita sospesa. Ma cerco di viverla  con la stessa intensità di sempre. Appassionarmi alla bellezza. Innamorarmi dei luoghi o delle persone, coltivare i fiori e guardarli crescere, scrivere, leggere. Vivere è già un miracolo.  A questo miracolo ogni giorno recito la mia preghiera laica.

 

Patrizia Tocci

Novembre 2012

 

PASSWORD: IN MEZZO AI LIBRI

Ho avuto, tra la fine d’anno e l’inzio di questo nuovo 2012 più di duemila contatti, in questo blog. Non l’ho mai fatto,  ma volevo ringraziarvi: sapete qual’è la mia ossessione: si chiama L’Aquila e ricostruzione.  Password è una trasmissione televisiva  che ho cominciato con una valida emittente locale , TVUNO diretta da Josafat Capulli     e in particolare per  tvuno Donna , grazie a Daniela Braccani; è una passeggiata in mezzo ai libri che amo, scegliendo di volta in volta amici e compagni scrittori, poeti e poetesse  di ogni tempo, artisti..musicisti…Ogni volta c’è una password nuova: quella di questa puntata, registrata in settembre, era La città.  Ho poi lavorato e realizzato altre password ( con la regia di Marcello Aromatario) su:  LA LUCE. IL GIARDINO, LA CITTà E I SUOI SCRITTORI, LA NEVE, LA MEMORIA, CANI E GATTI, GLI ALBERI.  Ne sto preparando altre 2: Il fiume, Il mare. Mi fa molto piacere condividerle con voi.

potete vederla nel link che vi ho postato qui sotto

 Grazie. Patrizia Tocci

http://youtu.be/qqGApKtzpgc

Il tombolo, le donne e la memoria dell’Aquila

Il sapore del tempo

Dove si fissa il primo punto di un tombolo? Sicuramente,  come tutti gli inizi,  è un momento importante. Bisogna farlo con lungimiranza;  farlo bene perché è il punto che dovrà sostenere tutto quello che verrà. Questo gruppo di donne ha un punto da cui partire, un punto in cui persino il “piumaccio” ha dondolato, sono caduti gli spilli e i fuselli si sono ingarbugliati. La polvere ha nascosto il colore del velluto,  l’umidità ha ispessito il filo. Sono passati, i giorni .Ma con la pazienza delle donne, a testa alta, giorno per giorno,  spillo dopo spillo,  molto  è stato recuperato. Le dita hanno ricominciato ad intrecciare, hanno ritrovato la sapienza antica che non s’era perduta, le voci hanno tessuto racconti e storie e si sono intrecciate altre vite. Attorno a ogni filo cresce il mito, attorno al gomitolo di Arianna, al filo delle Parche che segnava l’arrivo della morte, al filo della tela di penelope che tesseva e poi disfaceva, per ingannare l’attesa degli altri e la sua..Quando si spezza o finisce, il filo del tombolo,  sanno che c’è il nodo “tessitore”; con un pò di fatica si impara e si insegna che si può continuare. Sempre donne nel mito. Invece nella cultura contadina anche l’uomo sa intrecciare: la sapienza antica dei nostri contadini nel fare le trecce con le pannocchie di granturco, di cipolle o d’aglio per poi metterle a seccare in cantina, o fuori al sole,  quando ce ne è ancora,..Quelle trecce appese appena fuori la porta delle  case, che contavano il tempo e le stagioni; trecce di peperoncini o di cipolle rosse,  ben disposte ed armoniose, perché tutto in natura ha una sua geometria, come i disegni del tombolo. Avete mai visto la struttura di un fiocco di neve? Quella geometria cristallina  è anche nei disegni, nelle stelle di natale,  nelle  corolle delle rose, nei petali dei  gigli; è così che nascono  pizzi  ,  merletti,  intarsi,  sbuffi, persino i gioielli. Tutto in natura ha le stesse leggi di precisione matematica: il risultato di quest’equilibrio è sempre  l’armonia e  la bellezza. Le streghe cattive che  di notte scompigliano l’ordine stabilito, fanno nodi ai capelli che non si sciolgono: intrecciano i lacci dei grembiuli o delle scarpe con nodi difficili da sciogliere. Ma non possono nulla contro i poteri della luce e del giorno: contro le collane   di margherite o narcisi. Ho avuto  una nonna e una bisnonna che sapevano ricamare e cucire,  facevano maglioni e calzini a mano, cappelli,  scialli  e guanti di lana contro un inverno che davvero faceva paura.

Inventavano. Non avevano schemi né giornali: non sapevano leggere né scrivere. Ma conoscevano le leggi dell’armonia, la struttura di un fiore o di un mazzetto di fragole, le trame disegnate dai rami , la geometria  alternata delle foglie e delle spine. Non conoscevano il sistema binario ma se ne servivano per intrecciare le balze degli asciugamani di lino – un nodo si e un nodo no- e creare dal nulla la bellezza. Mi affascina tutto ciò che ha a che fare con un filo che si nutre d’aria, e muovendosi tra le mani si solidifica pian piano, fino ad assumere una forma, ancora fatta d’aria. Nascere. Forse questo è l’incanto che ci prende sempre, quando vendiamo un artigiano al lavoro. Qualsiasi manufatto  è figlio della sua pazienza, della sua abilità e del suo pensiero. Il tombolo ci racconta, se vogliamo ascoltarlo, il ritmo del tempo,  il gioco delle ore e delle stagioni e ci lega la filo della vita. Anche noi come tanti fuselli ci  siamo mossi un po’qui, un po’ là:  in ordine sparso. La nostra vita è stata sparpagliata, imbrogliata, confusa…

Zia Tecla non ha ritrovato tutti i fuselli del suo tombolo; e ha dovuto ricominciare tutto da capo, lasciare incompiuto quel disegno che era rimasto a metà,  cominciarne un altro. Quello rimasto a metà  lo  ha piegato e lo ha riposto in un cassetto segreto, quello che ancora profuma  di lavanda e una mela cotogna. Appuntato ben bene con gli spilli sulla carta paglia;   è l’unico  disegno  che non ha voluto terminare. Non adesso.  Anche queste donne hanno ricominciato. Tutti noi abbiamo ricominciato e non sappiamo ancora se le mani che ci guidano abbiano chiaro il disegno complessivo;  certe volte i fuselli si impicciano e ci vuole molta calma e pazienza. Calma, una forza calma come quella delle donne.  Le case dell’Aquila hanno ancora  bellissimi gigli in ferro battuto, che fanno capolino dai muri delle nostre case diroccate; erano la parte terminale delle catene che tenevano inchiodati all’interno i muri maestri, perché la nostra è sempre stata una terra ballerina. La parte terminale della catena  veniva arricchita con questi fiori in ferro battuto;  ogni giglio è diverso dall’altro, più o meno sontuoso, più o meno stilizzato. Sono ancora lì a ricordarci che chi non ha memoria non ha futuro. Abbiamo tutti il nostro piccolo tombolo da iniziare: togliere la polvere, raccogliere gli spilli, controllare se i fuselli ci sono tutti e  conservare buone scorte di filo.

 Forse, un giorno, tutti questi tomboli verranno inseriti in una grande tovaglia bianca.  La apriremo e la stenderemo con cura su un grande tavolo,  in una delle tante piazze della nostra città o dei piccoli paesi distrutti; una tovaglia attorno alla  quale possano di nuovo incontrarsi tutti quelli che sono stati sparpagliati, allontanati, cancellati.  In una piazza qualsiasi, con una fontana dove scorre ancora l’acqua, ballano  le voci della gente,  le finestre  traboccano di  fiori, le case tutte  tirate a nuovo, le porte aperte e i gatti, acciambellati  in una virgola di sole.  Ogni cosa ha il suo sapore, un odore, un profumo  nella memoria. Questi tomboli hanno il profumo e il disegno  del tempo. Per questo anch’io- che non so fare il tombolo – sono qui.  Patrizia Tocci

 http://youtu.be/HdEt6kK5HiU

ANCHE LE PIETRE PARLANO.

RIPORTO IN QUESTO POST, UN BELLISSIMO ARTICOLO DI PAOLO RUMIZ USCITO OGGI 13 AGOSTO SU REPUBBLICA.

Ho scritto tante volte della mia città. Stavolta lascio parlare Altri.

(per chi non lo avesse letto o per chi non avesse visto le immagini basta andare su www.repubblica.it LE INCHIESTE . troverete tutto il materiale…)

Alle sette del mattino, nel centro dell’Aquila deserta, vidi una donna in tulle rosso fuoco attraversare via Paganica. Era pallida e camminava senza fretta, fumando, a filo di transenne. Non so ancora dire se fosse vera o un’apparizione. Certo, somigliava a quella che avevo visto a Pico Farnese accanto alla casa vuota di Tommaso Landolfi, il poeta degli abbandoni. Le case della città perduta erano bagnate dalla luce calda del solstizio, l’ultima neve splendeva sui monti, i tigli erano in fiore e tra le rovine crescevano fiordalisi. L’Aquila era di una bellezza sconvolgente, quasi greca.

La donna camminava fumando e d’un tratto mi accorsi che, a cento metri, potevo sentire l’odore della sigaretta e il fruscio del vestito. Potevo distinguere l’alone di luce attorno alla foresta dei riccioli neri. Con un tuffo al cuore ricordai che solo le rovine desertiche di Kabul, dieci anni prima, erano riuscite a conferire una simile millimetrica evidenza – acustica, olfattiva e visiva – alla passaggio solitario della persona. Come Kabul, l’Aquila era vuota di rumori e di odori; per questo la visione era stata così perfetta e totale. Mancavano i cigolii, la voce delle stoviglie, l’odore del forno e della cioccolateria. I campanili tacevano. Non c’era anima viva.

Aspettai un risveglio. Ma alle otto nulla si muoveva. Alle nove stessa cosa. Niente voci e niente odori umani. Passarono cinque grossi cani in branco. Si sentì il miagolare di un gatto e un gran cinguettio di passeri. Tutto diceva l’inesorabile avanzata della natura nel vuoto lasciato dall’uomo. Ebbi improvviso bisogno di un rombo di motoretta, di una lite fra comari, del colpo di martello di un falegname e persino di un’autoradio a volume esagerato. Ma quando alle dieci mi raggiunse Patrizia Tocci, anche lei orfana di casa, cominciammo a parlare a bassa voce senza ragione apparente. Non volevamo disturbare il letargo delle pietre, e ci bastava un bisbiglio per capirci. In zona rossa all’Aquila si entra e si tace. Ci si lascia la vita alle spalle. In zona rossa un colpo di tosse è un tuono, il trillo di un telefonino un rimbombo.

Ai piedi dei muri transennati di Santa Maria Paganica solo la fontanella cantava, e così quando venne Enrico, un bimbo di 10 anni col papà e un pallone, mi misi a giocare con lui solo per rompere quel silenzio cimiteriale, farlo a pezzi a pedate. Giocammo per il gusto di percuotere le pietre, e l’eco delle pallonate rimbalzò per una buona mezz’ora fra il portale trecentesco della chiesa e la soglia barocca del dirimpettaio palazzo Ardinghieri, venerabile magnificenza dal tetto sfondato. Ma era dura competere col vento d’Appennino che faceva da padrone, strattonava i teloni tesi a coprire i restauri. Eravamo un veliero semivuoto in alto mare.

La città del silenzio aveva sue vestali. Come altri magnifici abbandoni, anche qui erano spesso le donne a custodire la memoria. Alla cantina del Boss, affollatissima, sotto i muraglioni del castello poco, la bionda Nicoletta Rugghia mi versò del Montepulciano e fece un memorabile elenco di ciò che era per lei la vecchia Aquila. Città, disse, è la vicina malfidante che spia dalle persiane, è lo sfaccendato, è il ciclista monomaniaco, è la signora invidiosa dei vasi di fiori altrui. Città è il dirimpettaio arrogante, il fornaio che ti frega cinque centesimi al cartoccio; città è gli sposini timidi, il postino che canta sempre, il collezionista di francobolli. “Città è questo, questo io amavo. E questo oggi non esiste più”. Fuori l’aria era tiepida, ma la città era fredda. Sfiatava miasmi umidi dal fondo dalle sue cantine.

Fu allora che Patrizia mi svelò uno dei mirabili segreti della sua città. In via San Martino angolo via dei Lombardi, in piena zona rossa, tra le macerie di altre case, c’era un palazzo quattrocentesco intatto, appartenuto a tale Jacopo di Notarnanni. Ciascuno spigolo mostrava due piccoli gigli in ferro battuto. Erano abbellimenti delle catene antisismiche tese da secoli dentro i muri maestri. Poi vidi che ce n’erano dappertutto in città, seminascosti dai ponteggi. Erano una decorazione, disse Patrizia, ma anche un ex voto. Un simbolo di purezza dedicato alla madonna, perché il terremoto del 1703 era avvenuto il 2 febbraio, giorno della Candelora. Erano stati quei gigli incatenati fra loro a salvare molte parti dell’Aquila nel 2009. Ma vallo a spiegare ai talebani dell’antisismico, invasati da furia risanatrice.

La sera del solstizio venne con grilli, vibrare di luci lontane e respiro di tratturi. Gli uomini senza più città mi avevano adottato, offerto le loro case di ormai definitiva emergenza. Mi sembrava di conoscerli da sempre. Paolo Rosati mi invitò a cena, suonò alla chitarra una delle sue canzoni di nostalgia e la sua compagna Maria Gabriella Ludovici tirò dal forno una casseruola di melanzane ripiene. Poi andammo sulla montagna fino al castello d’Ocre, dove aspettammo il buio a strapiombo sul paese di Fossa e la faglia assassina. Il cielo era arancio e viola. Da lontano, la nebulosa dell’Aquila era ben visibile col suo buco nero al centro. Il castello, già sfiancato dai secoli, era stato beccato in pieno dalle scosse del 2009. Solo un torrione restava. Il resto era un mucchio di massi instabili simili a tibie, scapole e teschi umani. Inciampai, caddi, non riuscii a salirlo. Ocre era la quintessenza dell’Abruzzo. La rovina di una rovina.

La Luna andammo ad aspettarla sulle Pagliare di Tione, un pascolo di quota da cui nessuna luce umana era visibile. Il Sirente navigava come un transatlantico spento in mezzo a milioni di stelle. Solo dalla parte della valle Subequana un tenue pulviscolo dorato ancora resisteva. Vedemmo passare un cervo, una lucciola mi si posò sulla mano destra, svegliammo uno scorpione dietro l’uscio, poi sentimmo il richiamo dei lupi. Nella baita di Paolo c’era solo qualche candela e accendemmo il fuoco nel camino. Poi raccontai delle case del vento di cui l’Italia era piena. Dissi di Paolo, l’amico che per tutta la vita aveva voluto un faro abbandonato per vivere e poi aveva scelto un faro solo per morire.

Fu allora che uscì la Luna, dalla parte della Majella, la grande montagna madre, e dentro il mantice dei polmoni sentii gonfiarsi un canto silenzioso d’anarchia e di furore. Diceva: tornatevene aquilani, disobbedite ai divieti. Tornate prima che la città muoia, diventi archeologia. Tornate e riprendetene possesso con le vostre cose, i vostri rumori e i vostri odori. La zona è rossa, ma di vergogna per come viene preclusa ai vivi. Non consentite che le vostre strade diventino terra di cani. Sentite come il luogo vi chiama, come tutti i vostri morti vi chiamano. Non accettate di essere esuli in casa vostra. Non lasciate sole le vostre pietre.

Poi restammo in silenzio, ad ascoltare lo scricchiolio delle stelle.

Paolo Rumiz

Paolo Rumiz e Patrizia Tocci a caccia di gigli, nella zona rossa dell'Aquila.

 foto di Alessandro Scillitani

 La Repubblica 12 agosto 2011

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