un viaggio nella memoria con Livia de Pietro

Recensione  libro :”I gigli della memoria” di Patrizia Tocci, edizione Tabula Fati Solfanelli Chieti 2012

E’ un libro che si compone di due parti e una postfazione.  Nella prima sono raccolte 55 testimonianze  di persone che raccontano le prime dodici ore della loro seconda vita, cioè quella immediatamente successiva al terremoto del 6 aprile 2009, quando, alle ore 3.32 del mattino, una forte scossa di magnitudo Richter pari a 5.8 colpì la città di L’Aquila e i suoi dintorni. Gli effetti di quel terremoto, come sappiamo , sono stati particolarmente distruttivi in prossimità dell’epicentro, con numerosi morti e feriti, diverse decine di migliaia di sfollati e danni soprattutto concentrati alla città dell’Aquila. La seconda è praticamente un viaggio nella memoria e nell’identità aquilana dal tempo successivo al terremoto fino  ad oggi. E’ insomma un libro scritto con stile autobiografico in cui il tema della morte è il motivo conduttore. Straordinaria è  la capacità  di ricordare i fatti con ricchezza di particolari. Il libro è permeato da una grande umanità e da un grande amore per la vita anche nei momenti più bui e dolorosi.

Il racconto della memoria è un genere letterario che può essere descritto in vari tipi di trasposizioni stilistiche (poesia, prosa ecc.) e narra di ricordi reali avvenuti nell’esistenza di una persona o di un popolo che l’ha segnato in maniera particolare. Grandi esponenti del racconto della memoria sono, nella letteratura italiana Primo Levi, Ignazio Silone e Italo Svevo. Se questo genere tende solitamente a essere prevalentemente descrittivo, si rivela spesso e volentieri una lettura dell’anima, dei ricordi, dei momenti importanti della vita di una persona.

Il racconto della memoria è talvolta fatto coincidere con il genere autobiografico nonostante le differenze tra i due generi: mentre l’autobiografia assume interesse per un personaggio di rilievo (storico, letterario, scientifico, ecc.) la memoria può essere interessante anche quando proviene da personaggi privi di qualsiasi rilievo, perfino illetterati, dal momento che essa attinge valore dal suo essere testimonianza di un’epoca, di un ambiente sociale, di un periodo storico, di un costume linguistico, ecc. Esempi ne sono le memorie scritte da spettatori minori di eventi storici, come soldati semplici, servitori di personaggi storici, vittime o superstiti di eventi storici, deportati in lager. In questo caso, l’autrice riporta esempi di semplici cittadini colpiti dalla tragedia.

E’ evidente che in questo libro balza subito agli occhi l’importanza della memoria. Oggi, quando si parla di memoria nel campo letterario, ci si riferisce ad alcuni contenuti, ad esempio ai momenti più tragici della storia del XX secolo, con i suoi campi di sterminio, i suoi micidiali strumenti di repressione, i suoi totalitarismi. Il genere letterario della memoria diventa allora l’esigenza etica di non dimenticare, come atto di giustizia e di responsabilità verso le vittime, come impegno a vigilare perché orrori simili non si ripetano. La funzione e l’importanza della memoria fu per prima riconosciuta dal filosofo francese, Henri Bergson voce autorevole in patria e massimo esponente dello Spiritualismo ottocentesco. Fu insignito del Premio Nobel per la letteratura nel 1927, il quale diceva. «Noi siamo il nostro passato», ed esso non può essere recuperato con altro sistema se non attraverso il meccanismo della memoria.  Ecco allora che, leggendo “i gigli della memoria” si avverte una tenace fede nella letteratura come memoria, un veicolo verso una presa di coscienza anche se avviene per vie tortuose e dolorose. E’ l’autrice stessa che inequivocabilmente conferisce questo obiettivo alla sua scrittura e lo dice nella prefazione: lettura pag.5/6

Il libro di questo genere più famoso è Il diario di Anna Frank, una ragazza ebrea che morì in un campo di concentramento in Germania. In esso la ragazza scrive delle lettere a una amica immaginaria e le racconta tutte le sue toccanti vicende della persecuzione ebraica durante la II guerra mondiale. Questo libro, scritto in forma di diario, pubblicato nel 1947 dal padre, Otto Frank, fu preso a modello nella letteratura. In esso sono ravvisabili 4 elementi fondamentali:

1) ambiente circoscritto

2) Personaggi ben delineati

3) Assenza o trama scarna

4) Fine etico

Nel tempo si sono diffusi diversi libri della memoria Uno famoso fu “Il mestiere di vivere” di Cesare Pavese, scritto nel periodo del suo confino a Brancaleone Calabro ed è una forma originale in quanto non racconta interamente i fatti perché invita  il lettore a scoprirli o immaginarli mettendo in moto la fantasia. La Tocci, allo stesso modo,  lascia nel lettore uno sgomento che genera voglia di fare, di collaborare con ogni mezzo per alleviare le sofferenze degli aquilani, così duramente colpiti.

Ci sono anche dei dialoghi e vengono espresse sensazioni. Altro libro famoso che rientra in questo genere  è  “La tregua “, di Primo Levi.

Patrizia Tocci presenta un testo di grande intensità: come un torrente in piena, le sensazioni giornaliere di chi racconta, travolgono il lettore con la loro forza, tale è l’urgenza dell’ispirazione  da imprimere sul foglio. Un’ispirazione intrisa di grande semplicità, con una forte connotazione di attualità e coraggio, in cui a momenti più bui si contrappongono esplosioni di luce, spiragli di speranza così come testimonia prima pagina  della  seconda parte.

Lettura a pag. 185

l’autrice ci permette, con grande sincerità, di leggere nel suo animo e di riflettere le nostre sensazioni di lettori nelle emozioni suscitate dalle sue pagine  come in quelle dove  appare evidente la capacità di sintesi e l’ottimismo ravvisabile nella speranza della ricostruzione.

Il libro, ha   come protagonisti una folla di personaggi e non potrebbe essere diversamente perché la vita  non è mai una questione individuale: senza gli altri, sen­za le dimensione comunitaria, qualsiasi esistenza non avrebbe senso.“I gigli della memoria” racconta quindi un momento cruciale della nostra storia attraverso 55 testimonianze di aquilani nel cui percorso, alle prese con un Noi da ricostruire, c’è il senso di questo libro , che è un grande affresco sulla memoria di un tragico momento, nella speranza che si ritrovi una visione positiva, solidale e aperta al futuro. 55 storie vissute attraverso gli occhi di 55 persone diverse . Il lettore viene virtualmente accompagnato sul luogo dei fatti, uno degli obiettivi primari è proprio quello di mostrare gli avvenimenti al lettore come se li vedesse da dietro il mirino di una telecamera.  Il libro parla insomma di tante vite, che potrebbero essere  quelle dei nostri genitori e dei nostri nonni, quelle di un passato che sembrerà lontano e che invece sarà sempre vicino grazie al racconto e alla memoria. Una storia che si delinea a partire dalle dinamiche tra le persone, dalla condizione sociale di coloro che l’evento l’hanno subito, dalla condivisione di un piano comunitario di ricostruzione. Attraverso il vissuto umano si sviscera il passato per leggere meglio il futuro, si costruisce un percorso della memoria che è fondamento per il presente e strumento per affrontare il domani. Il libro è un invito a credere ancora nella ricchezza del valore umano e nella forza dei rapporti tra le persone.

La speranza di un rinnovamento non solo della comunità abruzzese, ma con il concorso di tutta la società italiana,  viene dalla possibilità di costruire una rete di relazioni tra le persone che sia di solidarietà e di integrazione. Lo esprime l’accorato appello che la Tocci fa (lettura a pag.  189)

La coscienza della relazione con l’altro è fondamentale ed è per questo che bisogna sempre raccontare, l’atto più grande di generosità verso gli altri, perché chi racconta ha ascoltato e insegna ad ascoltare.

In conclusione, io la ritengo un’opera “coraggiosa” per la forza dei temi affrontati.

 

Livia De Pietro

(critico letterario)

Zona rossa e zona verde: nel silenzio dell’Aquila

Si chiama parietaria, l’erba che cresce sulle macerie, che s’infila tra i muri e spacca le pietre. Sembra docile, quasi appicccicosa: ma le basta un granello di terrra per attecchire e cresce vigorosa, velocemente. Si riprende il suo tempo e il suo spazio, con insolenza e con cattiveria. Sa che non ci saranno piedi di uomini donne e bambini, a calpestarla; sa che pochi cani potranno fare pipì tra le sue foglie. Cresce e si riprende tutto, come fa la savana: il tempo cambia dimensione, i colori delle pitture alle pareti si scrostano, i famosi e costosi nodi dei puntellamenti arruginiscono, i vasi ospitano ormai tutte piante secche..ma la parietaria no. Le sue schiere insolenti hanno da combattere una guerra: sono le schiere equestri, quelle raso terra, le più temibili; colonizzano in poco tempo una carreggiata, una strada, sbarrano la porta dell’entrata. Diventano un segnale simile a quello di Zona rossa: cambia il colore, ma non il significato. Ambedue vogliono dire: qui, uomini e donne,, bambini e anziani non ci vivono più. Qui la vita è preda dei divieti e dell’incuria. Qui c’è solo silenzio e solitudine. Poi ci sono le schiere che hanno il compito di colonizzare i piani alti delle case, le crepe sui muri, le piccole screpolature sotto i balconi. Di crepe ce ne sono abbastanza, nella mia città crepata; e la parietaria si insinua, subdola, veloce, strisciante. E’ il solo verde che non riesco a sopportare, perchè non è una forma di vita, ma significa abbandono, morte, disperazione. DOBBIAMO dichiarare guerra alla parietaria: riprendere le battaglie che avevamo cominciato. Pulire questa città. tenerla pronta per la ricostruzione. Visto che altri non lo fanno, io comincio a dire che lo farò. certo, invece di andare altrove, il sabato o la domenica, si ricomincia. Pulia-Amo L’Aquila.

Patrizia Tocci, tentando di vivere all’Aquila

Negli occhi dell’Aquila. ( InMOTO MANET)

 hanno letto un mio articolo che cominciava così “Venite all’Aquila, venite a veder con i vostri occhi” Hanno raccolto l’invito, Osvaldo Pedana e i Motociclisti NON agitati di Umbertide (Pg). Abbiamo cominciato pian piano con comodo a fisssare modi tempi e luoghi….sto lavorando da mesi per

quello che chiamo IL TURISMO ETICO. venite all’Aquila a vedere, con i vostri occhi. Loro sono venuti. più di 340 moto..da Umbertide, da Perugia, da Rieti, da Spello, da Antrodoco e da Pescara, da Roma..si sono incontrati on the road, per strada..nei ritrovi o nei ditributori. All’Aquila, l’appuntamento finale era a Centi-colella. Scortati dalla polizia municipale..sono arrivati in Piazza Duomo. Una carovana di moto con i nastrini neroverdi appesi dietro i sellini, un pò disorentati. La banda dell’Aterno li ha accolti, in una piazza disordinata e invasa da camion: stavano montando un palco per il giorno dopo. Ma ci siamo entrati lo stesso, nel tendone..un pò dentro un pò fuori per parlare un pò, per scambiarci i regali, per commuoverci e per sorridere.  Con Stefano Corbucci, presidente dell’Associazione Moto, l’onorevole Giovanni Lolli e il vicesindaco Giampaolo Arduini… poche parole, pochi saluti e la canzone “l’Aquila bella Mè” cantata e suonata da anna Barile. Abbiamo deposto due corone al monumento delle vittime del Sisma e è cominciata la visita alla città.  Stavolta non ho fotografato la città.   Ne conosco bene ogni crepa. Ho fotografatoi loro volti, il silenzio della loro presenza,  il rispetto per i luoghi.  Loro vedevano   case e  palazzi, le mura e le strade, i vicoli e le finestre.  Hanno sentito  l’assenza del rumore, hanno visto l’erba che cresce sulle macerie, gli oggeti ancora sparsi qua e là..gli oggetti che accompagnavano la vita quotidiana. Un serpentone di persone. Ma il silenzio era totale.   Hanno scattato foto, fatto domande, visto, guardato. ma io credo che la prova più grande della vera situazione dell’Aquila ( dell’entità del disastro e della sfida epocale che ci attende) sia rimasta nei loro occhi. Per questo  diranno, a chi sosterrà che qui all’Aquila è tutto risolto : ” Guarda nei miei occhi…non vedi che non è così?”

L’Aquila, città dei gigli

Dobbiamo recuperare tutti quei gigli che secondo Laudomia Bonanni, sono stati messi sui muri degli edifici sopravvissuti al  terremoto del 1703.. Sono vari e diversi, piccoli e grandi, alcuni molto lavorati, altri appena sbozzati. Fanno parte ormai doppiamente della nostra storia. Già due anni fa, quando mi occupai di questo aspetto per la realizzazione di un dvd su Laudomia Bonanni, alcuni di essi vivevano da clandestini, attorcigliati ai fili della corrente, spesso usati come supporto dei cavi, alcuni addirittura tinteggiati con lo stesso colore dell’intonaco; di altri a malapena restava un petalo o soltanto il pistillo.

Lo so che è poca cosa, so bene che dobbiamo ricostruire una città e che queste potrebbero sembrare inezie.I gigli però erano la parte finale ed ornamentale di quelle catene di ferro che hanno salvato numerosi edifici: hanno quindi un ulteriore valore, un ulteriore monito. Mai far morire la memoria letteraria. Serve a ricordarci come eravamo e a prendere le giuste precauzioni nella ricostruzione. Mi rivolgo a tutti i proprietari o gli abitanti dei palazzi situati nel centro storico, specialmente in Via San Martino, San Flaviano e anche lungo Corso Vittorio Emanuele, dalla Fontana Luminosa fino alla Villa.

Spero che qualsiasi forma di ricostruzione e restauro voglia preservare e conservare questa traccia importante della nostra identità. Inoltre il giglio potrebbe diventare l’emblema del ricordo e riportare alla nostra memoria, delicatamente, con un fiore, quelle persone che non ci sono più, da quella tragica notte del 6 Aprile 2009, notte che è stata uno spartiacque nella vita di tanti

Patrizia Tocci

NEL CUORE DELL’INVERNO AQUILANO

Nonostante tutto, nonostante l’inverno e il freddo non rinuncio alla mia passeggiata aquilana. Fa buio molto presto , ancora.Ma anche se la tramontana viene come uno schiaffo sul viso dalla fontana Luminosa, si arriva fino a Piazza Duomo. Non c’è quasi nessuno in giro:  poche persone solitarie magari con un  cane al guinzaglio, qualche persona talmente incappucciata che non riconosci più, tra la sciarpa, i guanti, il cappuccio o gli occhiali.Eppure, i passi procedono spediti, lungo l’itinerario conosciuto.Eppure qualche nuova luce che s’è aggiunta ( Tezenis) fa venir voglia di entrare, comprare qualcosa, dimenticarsi come una volta nel rito  prudente dello shopping.Fa compagnia , quella luce, interrompe il lungo fiume buio , semibuio del vecchio corso. Si sente il freddo; e assieme al buio forma un corpo liquido, quasi solido..un magma..come se una lava nera fuoriuscisse dalle case, dai vicoli e si spandesse dentro i palazzi ancora in piedi, entrasse in quelle finestre aperte, ci raggiungesse il cuore. Un flutto pietrificato, una domanda senza risposta, l’eco di un passaggio..Mi sembra di sentire le vite, tutte quelle che c’erano prima, lungo la strada principakle della mia città. Dai  piccoli balconi che si affacciano vuoti e desolati, nelle finestre duplicate da altre finestre, in quella specie di reticolo ferrato che avvolge tutta l’altezza dei palazzi. Mi sembra di risentire le voci, rivedere le luci, il brusio, le insegne luminose e fosrse qualcuno uscire da quegli immensi portoni, tirarsi su il cappuccio  o il bavero del cappotto, avvolgersi la sciarpa attoro al collo…certo, questi sono i giorni della MERLA., i giorni in cui anche il cuore dell’inverno è freddo.A piazza duomo non c’è più nessuno. Solo le camionette dei pompieri e dei militari percorrono quel fiume buio.Si sente l’eco del motore fin quando non spariscono. Incontriamo qualche amico sparuto. Sembriamo tanti fastasmi smarriti. Eppure deve esserci un senso in questa ostinazione. Siamo un presidio affettivo, una calamita che pulsa, una direzione. un silenzio che parla. In primavera tutto questo sarà inaccettabile. Voglio vedere 1000 cantieri al lavoro.Ruspe, operai, architetti, ingegneri, proprietari di case…voglio vedere un brulicare come quello delle api attorno agli alberi in fiore. Voglio vedere. Voglio.

 Patrizia Tocci, tentando di vivere all’Aquila 29/1/11