I Gigli del terremoto aquilano arrivano a Roma

Il prossimo 26 marzo alle ore 16.30 a Roma, nella splendida sala del Carroccio, in Campidoglio, si terrà la presentazione del libro ‘I Gigli della Memoria’ (Solfanelli edizioni) di Patrizia Tocci, scrittrice di origini marsicane che da anni vive e lavora all’Aquila.

Il libro, già presentato all’Aquila, contiene 55 testimonianze delle prime 12 ore (dalle 3.32 alle 15.32) del 6 aprile 2009, data del terremoto che ha distrutto il capoluogo abruzzese; nella seconda parte, i testi della Tocci che riguardano il terremoto. La postfazione è firmata da Paolo Rumiz. L’introduzione alla cerimonia di presentazione sarà tenuta da Nando GiammariniLivia De Pietro, critica letteraria, condurrà l’evento e parlerà del libro. La lettura di alcuni brani è affidata all’attore Benedetto Cesarini, presidente dell’associazione culturale ‘VIII Atto’.Prevista anche la proiezione del video ispirato al libro, realizzato da Franca Visentin. Presenti anche l’abruzzese Dario Nanni, membro della Commissione Cultura di Roma Capitale, Giustino Parisse, caporedattore della redazione aquilana del quotidiano Il Centro,Valeria Bellobono, scrittrice avezzanese e curatrice di un Salotto Letterario romano, docenti di scuola media, superiore ed universitaria, dirigenti scolastici, appassionati di lettura tra cui tanti abruzzesi “che hanno a cuore le sorti ed il futuro e la ricostruzione della città delle 99 Cannelle”.

L’ingresso è gratuito ed il libro, si legge in un comunicato, “oltre alle grande finalità culturali, svolge una grande funzione solidale poiché i diritti d’autore della vendita saranno devoluti al gruppo Volontari Donatori Sangue (Vas) dell’Aquila.

IL POETA CON LE SCARPE ROSSE

©Il poeta dalle scarpe rosse

 

 

L’Aquila, Ridotto del Teatro comunale: la folla delle buone occasioni, premio Città dell’Aquila-Carispaq intitolato alla scrittrice  Laudomia Bonanni ;  quest’anno ospite d’onore è  lo scrittore Tahar Ben Jelloun. Serata conclusiva: tra i tanti nomi illustri  nella giuria: Maria Luisa Spaziani, Sergio Zavoli, Renato Minore, Giorgio Barberi Squarotti…

Lo scrittore comincia a parlare dei suoi libri, dell’Islam, della sua storia, della Primavera araba. Domande  tante,  e si susseguono. Ne riporto,  ovviamente,  solo alcune. Seduta in fondo alla sala, ascolto con  attenzione, tentando di trascrivere e di ricordare. Prendo sempre appunti quando qualcosa o qualcuno mi interessa. Scrivo. Prima o poi mi servirà. ( Il resoconto della serata  è restato,  per mesi,  prigioniero della mia piccola agendina rossa. Adesso, per ragioni tutte sue, forse cromatiche, è riemerso e ve ne faccio dono.)

“Ciò che ti lega alle tue origini è un albero”: leggo e rileggo questo bellissimo verso del poeta. Mi appartiene, l’ho già fatto mio.

Gli domandano dal  palco : “Come convivono le sue  due radici arabe e  francesi?”

Risponde sorridendo: “Si, a volte c’è un   litigio, ma a volte anche  il litigio può essere  fecondo.” Ad una domanda sull’Islam,  risponde  sintetizzando: “ La religione deve essere nel cuore e nelle moschee e nelle chiese, non nella politica.”

Le domande incalzano. “Pur essendo sostanzialmente noto come scrittore di prosa,  racconti e romanzi,  continua a scrivere poesie. Perché?”

Ricordo velocemente qualcuno dei suoi molti titoli: Creatura di sabbia, Il razzismo spiegato a mia figlia, l’Islam spiegato ai nostri figli, Le pareti della solitudine, L’ultimo amico, Stelle Velate, Il corrotto…

“E’ importante. Si può essere scrittore anche  per dare la propria opinione, ma la poesia è qualcosa di più,  che resta … La poesia ci fa ricordare il poeta… la  Poesia, è come una   essenza, un aroma  particolare  nella scrittura. Io non mi definisco un poeta: deve essere il lettore  a definire, che cosa sia poesia e  chi sia poeta. Ringrazio sempre il mio lettore   se mi  dice :  “ questa non è poesia’’;  lo ringrazio comunque,  già soltanto per aver letto ciò che ho scritto. La poesia è come la matematica. E’  precisa, rigorosa ed ha un ordine ben definito: in più  ha il compito di regalare anche un’emozione. Il verso che riesce a dare un emozione, quello per me è poesia. Si scelgono delle parole fino a giungere ad una musica che ci fa dimenticare anche il  dolore.”

 

Aggiunge, con tono pacato e cordiale, mentre il traduttore cerca con fatica di rielaborare: “Ho avuto la fortuna di non dubitare mai della mia identità … Ho frequentato subito una scuola francese. I miei genitori mi hanno insegnato a non perdere mai l’umiltà: amo sia imparare che insegnare”.

Alla domanda su quale siano i suoi autori, italiani o stranieri,  di riferimento, risponde: “ Jan Janet: gli scrittori più grandi sono sempre i più modesti. Tra gli italiani: Calvino, Morante, Eco:  quelli che hanno “parlato’’ della realtà. La letteratura non cambia il mondo, non lo può cambiare, ma il silenzio è insopportabile.”

Qualcuno chiede quale sia il suo rapporto con l’Italia: “L’Italia è un paese complicato: amo la sua ospitalità,  la generosità è il grande senso dell’amicizia; ho anche convertito tutta la mia famiglia a questo amore”

Una pausa,  lunga: “Questa mattina ho visitato il centro storico della vostra città, mi ha riportato alla mente il terremoto di Agadir nel 1961.”

A questo punto il poeta scrittore si alza dalla poltrona e si dirige verso un leggìo: estrae dalla tasca un foglio piegato in quattro; è quello di un quaderno a quadretti;  si vede bene, anche da lontano: “ Una poesia appena scritta,  davanti alle rovine del centro storico, stamane. Mi è sembrato di trovarmi come in un set cinematografico; camminare in una città interrotta,  vedere una vita interrotta. Durante questa breve visita,   le persone che ho incontrato mi hanno fatto vedere la speranza e la voglia di ricostruire.”. mi emoziono anche io: sono le stesse parole che vado dicendo e  scrivendo da quattro anni, ormai.

Comincia a leggere: riesco con difficoltà a trascrivere qualche frammento della poesia : “ancora vivi… L’Aquila una futura sposa della morte…città fantasma… vita sospesa…Qui c’è qualcosa che assomiglia all’eternità… una città sostenuta da bastoni di ferro …”

Il poeta ha addosso una sciarpa bianca e un bel paio di scarpe rosse, inusuali per un uomo occidentale. A chi glielo fa notare , risponde: “ Le scarpe rosse ci rendono ancora vivi,  anche in un contesto come questo.” E aggiunge, rivolgendosi direttamente al pubblico: “Ogni poesia è una vendetta sulla brutalità degli uomini e della storia. Scrivere non cambia nulla al tempo che soffre. Ma per questo bisogna scrivere e pensare che la poesia salverà il mondo. Per questo  continuerò a scrivere poesia,   e continuerò ad andare contro le montagne che ogni giorno  minacciano di ingoiarci.”

Chissà se quella poesia sull’Aquila entrerà a far parte di uno dei suoi prossimi libri. Io me lo auguro. Si può passare alla Storia in tanti modi. Restare in una poesia di Tahar Ben Jelloun , è sicuramente uno dei migliori.

 

©Patrizia Tocci

,L ‘Aquila ottobre 2012 ( alla destra..Patrizia Tocci, emozionata.. mentre regala al poeta il libro La città che voleva volare))

Scarabei per l’Aquila

Lasciamo la macchina a  Fontesecco. Si intuiva una fila colossale verso Via XX settembre, meglio fare qualche passo a piedi, freddo sì..ma è ancora   una bella giornata,  piena di sole… Passiamo sotto il ponte ,  c’è una via che si chiama “ Gradinata degli scarabei”. Non lo sapevo o non lo ricordavo. Gli scarabei si dice,  portino fortuna… ne abbiamo sicuramente bisogno…Prendo l’impettata, coraggiosamente…Un po’ di fretta, come se avessimo un appuntamento speciale… E infatti è così. È un Aquila viva, vera..quella che subito si dispiega.  Bancarelle  poco illuminate, ma tanta gente che si ferma lungo il Corso per salutarsi… visi e facce che facevano parte integrante della famosa passeggiata diuturna sotto i portici..carrozzine e passeggini, strilli e pianti  di bimbi…” “Amò..spostati,  che non ci passa…” “ bella , frà… quanto l’hai pagato?” “ sì , la prossima estate saremo a casa” “ che te posso dì..ancora gnente…” . Brandelli di conversazione che catturo qua e là, in mezzo ai bonghi, al fracasso delle voci potenti dei venditori che cercano di richiamare l’attenzione.  Guadagniamo con fatica la piazza…  Una coppia litiga: “ ti ricordi l’altra volta, che abbiamo comprato quella scopa…che affare…proprio un affare”. Nell’allegra babele di lingue e persone, una musica dolcissima: The sound of silence, suonata con un flauto andino, da un tizio che ha le piume in capo, come Manitù. Bella la piazza: la musica la sovrasta, la riempie. Ipnotizzata , guardo le persone sedute sui bordi della fontana, come una volta:  famigliole che proseguono mano per mano… Mi dimentico anch’io , nella gazzarra. Contribuisco, compro qualcosa… Il fiume di gente risale il Corso, arriviamo volentieri fino alla fontana Luminosa… e poi  torniamo indietro…come facevamo, allora, prima.

A pochi passi ci sarebbe stata la casa, saremmo entrati in quel calduccio con le mani intirizzite: e avremmo comprato  anche noi quello spazzolone eccezionale, quel maglione a pochi euro, quella finta borsa vera…Un piccolo regalo, come sempre, l’uno per l’altro.   “Come si chiama questa via?”mi chiede un turista che deve incontrarsi con qualcuno.. Non me lo ricordo nemmeno io,  non è via Roma…Boh..Proseguiamo nella discesa..e poi la via mi torna in mente..Via Andrea Bafile..ma ormai il turista s’è perso nella luce, verso il Corso, ai Quattro cantoni. Noi affrontiamo il buio di Fontesecco. A braccetto.  Piano piano, quasi in silenzio. E’ da quel buio, da quei pochi lampioni che galleggiano nell’inchiostro della notte , che viene il nostro cocciuto filo di speranza…Riprendiamo la macchina, per tornare…dove dimoriamo, adesso. Abbiamo già tolto le lucette, le inoffensive lucette di natale : L’epifania tutte le feste se le porta via. Forse è un bene. Domani finisce il tempo sacro, festivo. Ricomincia il tempo laico e quotidiano. Quello delle cose da fare, degli impegni  e delle promesse da mantenere. Il tempo della ricostruzione …

 

Patrizia Tocci©               Foto di Fabio Uliano

Auguri, Aquila

CHIAROSCURO

Devo unire con i trattini dei puntini luminosi: è un gioco che faccio da qualche anno.

Inizio da via Strinella- . Sì, qui tanti puntini luminosi, posso cominciare a tirare un piccolo trattino. Da 1 a 2 mi sposto verso il Torrione, salgo verso San Francesco… nessun dubbio, sono già a 3. Ridiscendo nella zona dello stadio e arrivo all’Auditorium di Renzo  Piano, illuminatissimo: 4. Il Castello ( o forte spagnolo che sia)  però è tutto al buio. Nessun puntino, qui. Passo accanto a Ju Boss e a una manciata di locali riaperti: sì molte luci, anche quelle delle bottiglie di vetro per terra. Sono arrivata al numero 5. Continuo nel mio giro…una  luce in fondo a via Garibaldi..troppo poco, per un puntino. Santa Maria Paganica? Buio pesto. San Pietro? Sembra quasi un inchiostro nero che ti cola addosso. Laggiù, laggiù via Roma..tutto buio. Il vicolaccio? Fontesecco?  Via delle tre Spighe? Via del Guastore?  Piazza Chiarino?Non ce la faccio, torno indietro,  sul Corso. Tezenis, La luna, il Bar  di Maccarone e il macellaio; sì, qui finalmente un puntino. Sono arrivata a 6 ; ai quattro cantoni un puntino solo, 7: due bar riaperti e qualche luce in fondo verso la Villa comunale….

La piazza illuminata ,  due bar, uno a capo e l’altro a piè di Piazza; una lucina  all’inizio di via Sassa. 8. Palazzetto dei nobili e Piazza Palazzo: illuminati, ma vuoti. La prefettura? Buio. Il vicolaccio? Nero. Fontesecco? Perso nella notte. Via XX Settembre…san Flaviano, costa Masciarelli, Santa Maria di Farfa…niente.  Piazza san Bernardino…qualche luce. 9. Sono a 9: ma i  puntini da collegare  sono 99. Però qualcosa dal disegno comincia ad emergere: si intravede un occhio, un becco adunco ed una zampa, con le unghie.  Intuisco il soggetto del disegno, ma non posso completarlo. Anche per oggi, non si vola. Dicono che il prossimo anno sarà quello decisivo, l’anno dei puntini luminosi. L’anno giusto per un’ aquila dalla vista buona.  Buon anno, Aquila. Ci vediamo, a primavera?

Patrizia Tocci

A TEMPO DI VALZER

A tempo di valzer

Il Parco offre un po’ di respiro , nell’afa agostana. Anziani, cani e bambini cercano un luogo fresco, nella città-che-non –c’è. Le panchine sono quasi tutte occupate,  persino quelle mezze rotte; ne scorgo però una libera e soprattutto all’ombra. In quella accanto, sono già seduti due anziani. Il primo ha gli occhiali spessi, una camicia a righe con le maniche corte , un paio di sandali francescani: e se ne sta tutto curvo appoggiato sul suo bastone. L’altro,  alto e magro, indossa una tuta leggera , scarpe da ginnastica e un cappellino giallo con la visiera all’indietro. Sono abbastanza lontani da me, forse una decina di metri, ma posso sentire tutte le loro parole.

Faccio finta di scrivere ma trascrivo.

-Come sta, la signora?-

– Bene, mia moglie sta meglio, grazie._

– No, io dicevo tua madre!-

-Ah, quella? E chi l’ammazza, a 97 anni prende solo un’aspirina … Mica come me che  tre di pillole la sera e tre la mattina … –

– E mo’ dove abita?-

– Ma come … non te lo ricordi già più, è la terza volta che te lo ripeto, abita con noi a Coppito. A Coppito Due.-

-Ah, sì, è vero..e com’è,  la casa?-

– non ti ricordi proprio più niente..Eh? E’ un forno, soprattutto alla piastra dove stiamo noi…

-Eh, ci voleva proprio ‘sto terremoto.-

-Eh, già, ci voleva, proprio.-

Restano qualche secondo in silenzio. Passa un po’ di vento tra i pini, si sente un refolo fresco. Guardano entrambi in alto come a cercare un appiglio per continuare la conversazione. Lungo il sentiero di ghiaia   corre  una bella ragazza, in pantaloncini corti e cuffiette. Avanza veloce e nemmeno ci vede. Loro invece la guardano  e commentano con risatine, a bassa voce. Il signore con il cappellino giallo improvvisamente si alza, si sbraccia, gesticola:

-Ma sei tu, sei tu…t’ho riconosciuto dalla camminata …Madonna mia quanto tempo…-

Un  terzo uomo  si avvicina, frastornato come in uno di quei film di Sergio Leone e quei pochi metri sembrano infiniti. Anche lui ha gli occhiali spessi,la camicia a righe,  i sandali, e il bastone. Si abbracciano;  gli fanno subito posto,  sulla panchina.-

-No, mo’ abito  a Bazzano e ci metto un’ora per venire fino qui. Dietro alla mia macchina si fa una fila,  come ai matrimoni… Scappano, tutti. Vorrei proprio sapere perché. Vengo qui, compro il giornale e me lo leggo tutto, fino all’ultima riga. Com’è che non ci siamo mai incontrati?”

Sono in tre, adesso. Un bel gruppetto di vecchi amici.

– Quante camminate abbiamo fatto per il Corso, anche con il freddo e la tramontana, … te lo ricordi, frà?-

Ancora un lungo intervallo di silenzio.

-Andiamo a prendere un caffè –  propone il signore con il cappellino.

– ah, no, non posso …Il dottore  dice che…-

-Sì, il dottore ..il dottore …non t’ha imparato niente, il terremoto? Stavolta offro io ..prima che ci ripenso.-

–  beh, allora andiamo…-

– Eh, già…quando ci ricapita?-

Il terzetto si avvia, compatto, verso il chiosco.

Due passi ed un respiro. Due passi ed un sospiro. A tempo di valzer.

 

 

Patrizia Tocci                               L’Aquila,      Agosto 2012