Dove fioriscono le violacciocche: fiori per Laudomia Bonanni
L’interesse per la botanica non è secondario nell’opera di Laudomia Bonanni: il sambuco ne Il fosso, il ciliegio e le palme ne L’imputata, la fioritura dei tigli ne Le droghe. Copiosa la presenza negli elzeviri, sin dai titoli: “ Il salcio rosso”, “Abete fra le sbarre”, “ Alberi come monumenti”. Ma anche i fiori giocano un ruolo interessante: “Rose napoletane” “ Rose nei capelli”, “ Il seme delle pratoline”…
Per il suo compleanno – Laudomia era infatti nata all’Aquila l’8 dicembre 1907 – vorremmo regalarle un fiore. Quale? Di sicuro un mazzetto di violacciocche gialle o marroni. In questo periodo però non è possibile trovarne: sbocciano infatti in tarda primavera o estate e nascono spontaneamente , tra le crepe e le pietre dei muri; hanno bisogno di poca terra e attecchiscono nei luoghi più impensati; diffondono un colore che varia dal bianco al giallo oro, tra l’arancio e il marrone, con numerose ed infinite screziature. Fiori semplici e spontanei, dalle radici profonde e sottili.
Ogni poeta, ogni artista ha quasi sempre un fiore preferito: famosissimi i girasoli di Van Gogh, l’erbario di Emily Dickinson, le “rose e viole” di leopardiana memoria, le viole di Pascoli; infiniti esempi di un rapporto privilegiato che a volte si trasforma addirittura in identificazione. Le violacciocche, nell’opera di Laudomia Bonanni, sono presenti sin dai suoi esordi letterari : nella raccolta dei racconti, denominata Il Fosso con cui la Bonanni vinse il premio “Amici della Domenica”, in cui erano contenuti quattro racconti,: Il fosso, Il mostro, Messa funebre e Seme.
Irina, la protagonista del racconto Messa funebre, si trova in chiesa per il funerale di una sua prozia. Sopra la cupola si avverte a più ondate il rombo degli aerei da bombardamento: tutti hanno paura ma restano immobili, aspettando che quel passaggio finisca. Questo ricordo del “rombo funesto” riferito alla seconda guerra mondiale, deve aver segnato profondamente la memoria della scrittrice se ancora ne parla a Maria Teresa Ottavi che la intervistò per la sua tesi di Laurea. Alla domanda “ Quali avvenimenti della guerra ricorda?” Laudomia risponde “ Il bombardamento alla stazione dove morirono una ventina di ragazze dell’officina Carte e Valori.” Finalmente fuori la chiesa, all’aperto, Irina si calma : “Colse un piccolo fiore giallo – ve ne erano tanti nella spina di pesce di mattoni tra uno scalino e l’altro – e l’osservò deliziandosi tutta della sua fragile bellezza. E allora si ricordò delle violacciocche marrone che ogni anno spuntavano fra i trafori del rosone e che mai aveva mancato di guardare, fin da bambina, quando voleva che assolutamente gliene cogliessero. Levò gli occhi con una specie di trepidazione. C’erano, erano nate come sempre, lassù, nel poco terriccio, quasi espresse dalla pietra. Quella vista le procurò una inesplicabile gioia e un senso profondo di sicurezza.”
Le violacciocche sono, nella loro fragile bellezza, metafora della protagonista Irina ma anche della stessa scrittrice. “Vivere è necessario” : con questo motto Laudomia aveva inviato al concorso i quattro racconti ed aveva vinto. “Vivere è necessario” sembrano ripetere Irina, Colomba ( la protagonista de Il fosso) , tutte le donne che vivono nel casamento de L’Imputata e che attraversano, superandola, la guerra. Violacciocche ancora nel racconto Seme; il soldato tedesco Karl si ferma a disegnare l’incantevole facciata di una chiesa, il rosone romanico e il bel cespo di violacciocche quasi sfiorito, sospendendo anche lui per un attimo il pensiero terribile della guerra; più tardi sarà travolto come tanti altri ( oppressi ed oppressori) e proprio da un piccolo seme di violacciocche, finito nel suo occhio, germoglierà, tra i tanti cadaveri che la terra sopporta e accoglie, nella primavera successiva, una piantina di violacciocche. Le donne di Laudomia Bonanni, – ne sono pieni i romanzi e i racconti – oppongono in modo quasi inconsapevole alla forza maschile, tremenda, dell’odio e della guerra, la “gracile bellezza” di un fiore, schierandosi biologicamente dalla parte della vita che deve continuare e continuerà; il vento trasporta allo stesso modo i semi della vita e quelli della morte.
Le violacciocche “espresse dalla pietra” tornano anche ne L’Imputata: anche qui sono il simbolo della vita che ricomincia: “ I muri vecchi avevano rimesso il verde […] Col ramolaccio e l’erba colti a bracciate dai bambini e buttate sul minuscolo feretro, si sparse per la chiesa un odore asprigno di campi. Uscendo s’accorsero che dalla buca del rosone erano nate le violacciocche.”
Se avessi oggi, un cespo di violacciocche e se Laudomia Bonanni fosse – come a volte mi sembra ancora nella nostra città, – porterei questi fiori in Via Garibaldi, 75. Ma per non disturbarla, per non distoglierla dalla sua cara ossessione, lascerei le violacciocche sul davanzale o fuori la porta. Senza biglietto. Alle donne piace sempre ricevere un fiore.
Patrizia Tocci