GIGLI DELLA MEMORIA: CONDIVISIONE DI RICORDI E SPERANZE.

dall’introduzione del libro: I GIGLI DELLA MEMORIA ( A CURA DI PATRIZIA tOCCI) TABULA FATI SOLFANELLI, 2012.

Questo libro  è  nato   attorno ad un desiderio:  che   restasse  testimonianza della nostra vita di questi anni, durante e dopo il terremoto. Raccontare e testimoniare. Per sé e per gli altri.

Nella prima sezione del libro, La banca della memoria,  è   contenuta una narrazione collettiva: 55 testimonianze raccontano  le prime 12 ore della nostra  seconda vita.  Non è stato facile “estorcere” questi racconti. Un arco di tempo, un breve frammento di vita fotografato attraverso 55 istantanee: visto da diversi punti di angolazione, interpretato con diverse sensibilità. Ma tutte   queste testimonianze parlavano  la mia stessa lingua: quella dell’esilio. Ho cercato,  in questo modo,  di dare voce ad una comunità dispersa, una comunità che ha perso i luoghi dell’incontro, il concetto di prossimità ma non la necessità, né il desiderio  di condividere  il  “ momento”,  per cementare la speranza del ritorno.

Sono intervenuta pochissimo sui testi originali. Ho cercato  di rendere comprensibile,  soprattutto per un lettore non aquilano,  i luoghi, i momenti; perché  diventasse  nitida  ogni singola voce, e  quel timbro particolare, unico,  che ogni racconto in gran parte già possedeva.  Mi ha sempre sorretto, in questi  anni difficili,  la certezza che ci fosse un dovere di  testimonianza:  perché rimanesse  anche  nella pagina  scritta la sensazione, lo sconcerto, il dolore,  lo stupore, la paura, il sollievo… Da quelle  poche ore è poi discesa tutta la nostra vita successiva.

La seconda parte del libro ( I gigli della memoria) vorrebbe invece  dar conto del tempo succcessivo, fino ad oggi.  Sono scritti   che non riguardano solo  me: alcuni  sono inediti, altri pubblicati  e condivisi. Perché il bisogno più forte, e non solo mio,  è stato quello di raccontare, documentare, scrivere, filmare, fotografare : qualche volta a nome e per conto di una comunità virtuale, altre volte  semplicemente come espressione soggettiva di un momento.

La terza parte del libro, la post-fazione è affidata alla penna di Paolo Rumiz. L’ ho  accompagnato in Zona rossa, fra le rovine dell‘Aquila.  Volevo che vedesse il cuore, , la parte vecchia della città.   Scortati dai nostri “cani dell’Aquila”, un gruppo di randagi  e dal silenzio del tempo. Volevo che vedesse anche lui quelli che per me già erano il simbolo della città: i gigli  in ferro battuto, che  resistevano sui muri e sui palazzi crollati. Saranno le sue parole, l’invito al ritorno,  a chiudere questo libro.

Tutto però   nasce da un tempo ancora più lontano e sempre dalla scrittura. Nel 2006 lessi   un  articolo della scrittrice aquilana  Laudomia  Bonanni  . Si intitolava “  La terra Ballerina”  ed era stato pubblicato su Il giornale d’Italia,  ( 1976..) Ma  lei correggendo a mano , con la penna , aveva mutato il titolo in “ Il fiore del terremoto”.   Si parlava di gigli, gigli in ferro battuto scoperti per caso. Mi incuriosì subito.  La Bonanni è una scrittrice con forte matrice realistica. Avevo   già avuto modo di riconoscere e riscontrare alcuni dettagli architettonici o toponomastici – seppur rimodellati nella fantasia del racconto – che riguardavano la città dell’Aquila, nel suo romanzo L‘Imputata .  Da qualche parte dovevano esserci quei gigli.  Forse nella parte più antica della città. Ho passato  interi pomeriggi a cercarli, con il naso e gli occhi all’insù ,  come una turista, nella mia città. Un giorno, alzando gli occhi,  ho trovato un giglio. Proprio come era  accaduto alla Bonanni. Uno solo… ma è stato come incontrare un amico.  Allora, in quell’altra vita,  non sapevo che mi  sarebbero divenuti così cari, né  mi stupiva il fatto che si trovassero proprio alla fine delle catene di ferro che tenevano in piedi  i muri maestri,  nei vecchi palazzi aquilani.  Ne trovato il primo è poi stao facile incontrare gli altri: ormai sapevo dove e come cercarli.  Poi la città è stata distrutta, in gran parte. Ma quei gigli ci sono ancora. Anche  se rovinati, schiacciati , nascosti tra una impalcatura e una tavola chiodata: ci sono ancora,  anche se  già prima verniciati dello stesso colore della facciata, usati come supporto per fili volanti. Ci sono ancora. Con quella fragile bellezza che hanno i fiori veri. Qualcuno è davvero  appassito, rovinato.  E’ rimasto solo il pistillo; oppure ha perso qualche petalo …  Ma nella desolazione  di questi giorni è come se fossero  di nuovo  fioriti , sui  muri : come se sapessero reggere, sorreggere  quelle pareti che sono state le nostre case, le nostre vite. Non so bene quale sia il loro significato o la loro ragione. La Bonanni ci dice : “ a testimonianza e gratitudine per essere scampati al disastro . Si tratta insomma dei muri rimasti indenni nel 1703, nel giorno del terremoto distruttore” .  Può anche  darsi  che abbiano una simbologia  religiosa oppure siano legati ad un significato araldico. Ma non è necessario che tutto abbia una spiegazione. Quei gigli sono ormai  l’anima della città, la memoria della città. Quella che ricorda i suoi terremoti per una ricostruzione più giusta e più sicura,   e  che vuole ricordare le 309 persone che non ci sono più:. Memoria  stratificata nelle memorie dei luoghi, nella consuetudine delle usanze, nella topografia della memoria, nell’ubicazione dei quartieri, nella storia delle famiglie.  La memoria degli orti e dei cortili aquilani, dei colori e dei cromatismi, dei muretti bassi di cinta con l‘edera rampicante, dell’incrocio dei cantoni e dei vicoli stretti; la memoria degli odori, delle luci, dei  profumi,dei rumori, delle voci di una  città che non c’è.

Ognuno dei 55 racconti è  un giglio. Ogni testimonianza  ha una foggia e una forma diversa.  Ma hanno senso solo se ci sono tutte, e tutte insieme. Se saranno  ad ogni cuspide, ad ogni cantone, su ogni muro di  casa, di ogni palazzo  che verrà ricostruito nella nostra città e nei paesi limitrofi. Come i gigli veri,  che nascono  nel buio e poi riescono ad uscire al tempo giusto, appena il clima lo permette: quei gigli di ferro battuto formano adesso  già una comunità di intenti e di desideri. Ci ricordano che non si  può vivere  senza memoria perché  la memoria è la nostra identità. Non è stata cancellata, è stata solo momentaneamente interrotta, sospesa.  Erano forse  segnali e messaggi, ma non li abbiamo capìti.  Forse volevano dirci che questa città è già crollata ed è stata ricostruita , per desiderio e volere dei suoi abitanti. E che rimane  sempre un segno tangibile  dell’attraversamento, dell’esodo. I gigli – se lo vorremo fortemente – saranno  di nuovo ancora sui muri delle case ricostruite ,  anche per coloro che verranno. A rendere testimonianza  anche del nostro   esodo, di un altro attraversamento. Di  questa storia.

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Informazioni su pat1789

Patrizia Tocci nata nel 1959. Ha al suo attivo 7 pubblicazioni: poesie, romanzi e racconti. Scrive su riviste e giornali, si interessa di poesia e letteratura, collabora con Il Centro, quotidiano regionale abruzzese.

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