La lezione di Leopardi

Li guardo – nascosti dietro gli zaini e gli astucci, mentre cercano furtivamente di utilizzare il telefonino e io sto facendo lezione. Mi sono preparata coscientemente – il pomeriggio di ieri trascorso tra le pagine di Giacomo ( come penso io ) o Lèopard (come dicono loro. ) Comincio dal Passero – Il passero solitario – echi, risatine, battute: ricordo che abbiamo già incontrato Silvia, la Luna e la Siepe. Mi accaloro in una lunga spiegazione: sfilano la solitudine, la noia, la malinconia. Cerco di non farmi coinvolgere troppo da questo grande poeta – ma è difficile: qualche tono di malinconia o di tenerezza emerge: queste parole, dopo infinite volte toccano le corde vocali, le fanno vibrare come fossero davvero strumenti musicali. A poco a poco l’uditorio si fa attento, il silenzio aumenta: il poeta riesce – dopo più di un secolo – a parlare alle loro facce annoiate, ai loro astucci zaini ed agende tutti uguali; buca e dilaga nella loro passività e come per incanto il muro si sbriciola. Iniziano le domande e i commenti : per una buona mezz’ora si discute sulla gioia e sul dolore, anima e corpo; il poeta usa le loro stesse semplici parole: ma era ottimista o pessimista? Inutile riflessione , intervengo bruciando in un attimo pagine e pagine di critica letteraria e loro fanno eco; come si fa, oggi ad essere ottimisti? Li guardo per un attimo, penso ai loro temi pieni di paure ed insicurezza, di confessioni strazianti o pasticciate ma sempre autentiche, com’è autentica la loro paura del futuro; capiscono perfettamente la metafora del Sabato e dell’attesa, vedo molte paia di occhi che annuiscono, così come ha fatto breccia la delicatezza della storia di Silvia e la solitudine del passero. Questi ragazzi – penso – sanno davvero cos’è la solitudine. Sono “affollati” e si muovono quasi sempre in gruppo – in BRANCO dicono i sociologi in televisione- Ma è un po’ anche colpa di una nostra categoria didattica perché continuiamo a considerarli come un ologramma “classe”, un intero che non esiste, composto da infinite diversità in continuo mutamento. Li guardo velocemente e li abbraccio uno ad uno con il pensiero ; mi viene in mente un verso di Montale , quello sulla “solitudine di gruppo”. La lezione procede nel più totale silenzio: è scattato qualcosa di magico- un senso di sacralità che ancora la parola riesce ad evocare. A questo punto entrano in gioco anche le mie parole, il mio tentativo di tradurre la parola leopardiana, le sue riflessioni sul piacere e sul dolore, la sua realistica visione della vita… Suona il campanello; fanno un po’ fatica per uscire da quella atmosfera ma è come uno stimolo-risposta: si alzano quasi tutti contemporaneamente, si distraggono, pensano ad altro e riecco i cellulari pronti, le dita che compongono, chiamano, sollecitano. E’ una guerra persa – lo penso ma non lo dico. Richiamo qualcuno a “comportamenti più consoni” e continuo a pensare alla forza della poesia: c’era un ultimo pensiero inespresso, quello delle coincidenze tra il natio borgo selvaggio e questa piccola dolorante  città di provincia. Sto per andarmene, ma qualcuno dall’esercito dei telefonini mi chiama: “professorè, gl’ho mandato un messaggio alla mia ragazza, perché c’ha gli occhi ridenti e fuggitivi, proprio come lei, professoré!!!”

P.S vorrei dedicare questa pagina a Sandro Onofri, ai miei alunni, ai vostri collaboratori che sentono e dedicano spazio a questi temi e a tutti gli insegnanti che , nonostante tutto, ogni tanto pensano :“esiste un mestiere più bello del mio?”

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Informazioni su pat1789

Patrizia Tocci nata nel 1959. Ha al suo attivo 7 pubblicazioni: poesie, romanzi e racconti. Scrive su riviste e giornali, si interessa di poesia e letteratura, collabora con Il Centro, quotidiano regionale abruzzese.

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