Cominciò con un cielo basso, che puntava a terra come la testa di un montone: lo seguiva un gregge di nuvole compatto e determinato. Poi qualcuno, lassù, cominciò a setacciare la farina. E venne, la neve.
Giù , da quel cielo basso ma con varie forme: prima piccoli fiocchi lievi, in una danza guidata dal vento; poi diventò più spessa e rotonda e infine si allargò in fiocchi densi e appiccicosi, grandi losanghe bianche. Durante la notte mi sono alzata più volte, per vedere se continuasse quella nevicata che pareva svuotare il cielo. Il giorno dopo sarebbero dovuti venire all’Aquila Paolo Rumiz e Alessandro Scillitani, per la presentazione del loro DVD “ LE DIMORE DEL VENTO”: era tutto pronto per accoglierli. Ma la mattina presto neve e ancora neve. Tutto si era trasformato: le cose avevano duplicato lo spessore e si intravvedeva una grande distesa bianca. Un deserto bianco. Intangibile, immacolato.
Solo allora mi sono arresa: ho smesso di sperare che potessero arrivare da Balsorano ( dove erano ospiti di Bianca, nella Locanda del Ponte). Erano pochissimi km, ma in quel momento erano km di neve. Ho disdetto tutto, avvisato i pochi che potevo raggiungere telefonicamente. E poi , il silenzio. Questa casa in cui dimoro si trova in campagna. E in campagna, la neve è diversa. I campi spariscono, le montagne si avvolgono in sciarpe bianche e si uniscono alla pianura. I colori si arrendono. Si riposano. Adesso tocca a me, sembrava dire : lasciatemi fare …Ha imbandierato i balconi con festoni, e tutti i fili della luce come per i nastri dell’infiorata; i tetti avevano messo un cappello, le cose quadrate erano diventate rotonde e dagli alberi pendevano altri alberi. Il ciocco ha bruciato lento nel camino; la dispensa piena. Ombra e bianco, nero e luce. E silenzio. Un tempo denso, sconosciuto, quasi solido. La neve, sorella di sorella acqua aveva inghiottito le strade; cespugli di rovi e gomitoli di fili spinati persi, nella pagina bianca. La luce bianca filtrava anche la notte, dal paesaggio: splendeva qualche piccola luce lontana, nella vallata: piccoli paesi con qualche finestra illuminata, segni di resistenza alla tormenta, di solidarietà umana.
Una lunga pausa di tempo. Il tempo che abbiamo mortificato e si è ripreso la sua rivincita. Sotto la neve, pane: diceva mio padre, quando si vedevano i primi fiocchi scendere. Mio padre sa che l’inverno è fatto per riposare, insieme ai campi e alle stagioni della vita. Per aspettare il prossimo anno agricolo, che arriverà insieme al grano. Il grano, che è già verde, non teme la neve. Se ne sta anche lui, sotto la coperta bianca…e aspetta.
Sotto la neve, pane. In quei giorni, anche il pane è ridiventato il pane di ieri. E le briciole che avanzavano erano tutte per gli uccelli che sono arrivati. Timidi , diffidenti e poi sfrontati . Ho fatto amicizia con un pettirosso. Ho spiato la loro paura diventare fiducia. E così anche le briciole sono state importanti.
Pensavo alla mia casa, quella dove non posso più stare. Mi chiedevo se il tetto avesse saputo reggere il peso della neve, se il lucernario fosse ancora integro, se la piccola stanza tutta per me ( che avevamo appena costruito) avesse ancora il suo tetto di vetro…
Ricordavo un’altra nevicata sui tetti dell’Aquila, mia figlia bambina e i pupazzi di neve ai cantoni dei vicoli, gli slittini e i cappelli coi pon pon, le urla di felicità e le mani ghiacciate … Come devono sentirsi sole quelle piazze, quelle scalinate. Come dev’essere stato pesante il silenzio, all’incrocio di quei vicoli.
Poi, la magìa si è sciolta. Non c’è niente di più sporco della neve sporca. La neve, ammucchiata ai lati della strada, s’è fatta grigia e nera. Eppure niente di sorella neve andrà perduto. Riempirà le falde e farà crescere il grano. Rimarrà nei nostri ricordi e tra qualche anno, sarà bello dirsi: “ ma ti ricordi , la nevicata del 2012?”
Patrizia Tocci.