Nero è il cuore del papavero di Patrizia Tocci

Nero è il cuore del papavero
È un libro che insegue le tracce della memoria, attraverso la figura di un padre che non c’è più, ma di cui restano i gesti, le parole, le abitudini. È la fine di un mondo contadino che s’intreccia ai profumi, agli odori, rumori, colori scomparsi dalla realtà ma non dalla memoria.
Attraverso questo dialogo dell’autrice con l’ombra del padre, riemerge una civiltà che sta scomparendo ma che ha formato le nostre categorie mentali. L’infanzia del padre e quella della figlia si confondono, si chiamano e si assomigliano, nel ritrovare radici universali e profonde.
Pagine da cui fuoriesce la neve, matura il grano, profuma e si sente crescere l’erba: con sentimenti duri come il mallo di una noce e limpidi come l’acqua delle sorgenti montane, in un continuo passaggio tra presente e passato, in un legame tenuto in piedi dagli alberi, dalle primule che rinascono testarde, dai papaveri che continuano a splendere per una notte sola.
Sostanzialmente un viaggio nelle dimensioni interiori del tempo, in cui il presente ritrova nel passato il filo conduttore dell’esistenza e lo utilizza per fare spazio al futuro.

Copertina di Antonello Santarelli

[ISBN-978-88-7475-547-9]

Pagg. 136 – € 11,00
IMG_5219

La prima neve

DSCF5700

SORELLA NEVE

 Cominciò con un cielo basso, che puntava a terra come la testa di un montone:  lo seguiva  un gregge di nuvole compatto e determinato. Poi qualcuno, lassù, cominciò a setacciare la farina. E venne, la neve. Giù , da quel cielo basso ma con varie forme: prima piccoli fiocchi lievi,  in una danza   guidata dal  vento; poi diventò più spessa e rotonda e infine si allargò in fiocchi densi e appiccicosi, grandi losanghe bianche. Durante la notte mi sono alzata più volte, per vedere se continuasse quella nevicata che pareva svuotare il cielo. la mattina presto neve e ancora neve. Tutto si era trasformato: le cose avevano duplicato lo spessore e si intravvedeva una grande distesa bianca. Un deserto bianco. Intangibile, immacolato. E poi , il silenzio. I campi spariscono, le montagne si avvolgono  in sciarpe bianche e si uniscono alla pianura.  I colori si arrendono. Si riposano.  Sotto la neve, pane. In quei giorni, anche il pane è ridiventato il pane di ieri. E le briciole che avanzavano erano tutte per gli uccelli che sono arrivati. Timidi , diffidenti e poi sfrontati . Ho fatto amicizia con un pettirosso. Ho spiato  la  paura diventare fiducia. E così anche le briciole sono state importanti. Ricordavo un’altra nevicata sui tetti dell’Aquila, mia figlia bambina e i pupazzi di neve ai cantoni dei vicoli, gli slittini e i cappelli coi pon pon, le urla di felicità e le mani ghiacciate … Come devono sentirsi sole quelle piazze, quelle scalinate. Come dev’essere stato pesante il silenzio,  all’incrocio di quei vicoli. Poi,  la magìa si è sciolta. Non c’è niente di più sporco della neve sporca. La neve,  ammucchiata ai lati della strada,  s’è fatta grigia e nera. Eppure niente di sorella neve andrà perduto. Riempirà le falde e farà crescere il grano. Rimarrà nei nostri ricordi e tra qualche anno, sarà bello dirsi: “ ma ti ricordi , la nevicata del 2012?”

 

Patrizia Tocci.

Patrizia Tocci.

I RAGAZZI DEL FOSSATO-AQ

Vacanze aquilane 2°    I RAGAZZI DEL FOSSATO.

 

Anche i cani vengono a cercare un po’ di fresco al Castello, trascinando al guinzaglio i padroni. È una santa alleanza: si somigliano, si sopportano e si comprendono.  Stella, Ugo, Pippo, Asia, Eclisse,  Lilly,  Vichi,  Luky ,  Axel sono diventati tutti amici : scodinzolano e si salutano appena si incontrano. Anche i ragazzi del fossato ( così si definiscono i loro padroni) si incontrano ogni giorno per colpa e grazie agli amici a quattro zampe.

I bipedi  sono un po’ spaesati, dopo il terremoto; il gruppetto dei cani è variopinto per colore, razza ed età, quasi come quello degli umani. Asky e pitbull, boxer  bastardini e barboncini coesistono e bivaccano nel rettangolo accanto alla fontanella. Alcuni sono cuccioli, altri saggi e pieni di acciacchi.

La più giovane dei bipedi ha 12 anni e si chiama Cristina. Viene dalla Bielorussia e non sta ferma un secondo ma ti accoglie con un sorriso ed uno sguardo azzurro come il cielo di questi giorni. La più anziana è spesso silenziosa, ha una bella testa bianca come il suo barboncino. Qualcuno porta due coperte per sedersi sul muretto; un’altra, la torta fatta in casa da distribuire una fetta ciascuno , sotto l’ombra dei pini. Un po’ di dolcezza per tutti quelli che hanno una battaglia da vincere, ogni giorno: dosare con equilibrio, nel caffè, la quota di nostalgia e di speranza.

Perché gli umani raccontano, tra un abbaio ed un guaito, di quando abitavano a due passi da lì, snocciolando un rosario di vie: San Basilio, San Amico, San Pietro, Santa Maria Paganica,  Madonna del Carmine…

Luigina è un archivio vivente: ha nella sua memoria i files di intere generazioni, ma adesso non sa chi abita dall’altra parte della sua parete nel progetto CASE , a S. Antonio. C’è anche la forza di ridere e scherzare. Torna il gusto del racconto e quello dell’ascolto. In mezzo al fumo della  pipa, Daniela  distribuisce con  equanimità crocchette a tutti i cani. Certi giorni arrivano anche i figli  dei figli, rosei nelle carrozzine: guaiscono perché vogliono coccole e crocchette come i cuccioli che si rotolano, a piano  terra. L’amore e la vita proseguono, anche al tempo del terremoto. Hanno strade e percorsi tutti nuovi. Cristina ha una parola ed una carezza per tutti,  bipedi o quadrupedi: mi ha insegnato che nella sua lingua “io mi ricordo” si dice “Pamèz”.

Appena si fa sera,   come per un segnale convenuto, tutti si alzano,  chiudono le borse e  piegano le copertine, si sente un tintinnar di guinzagli e piccoli gruppetti si avviano , in ordine sparso, verso le macchine per tornare a  Marruci, Pizzoli, La Torretta… I ragazzi del fossato non si danno  appuntamento  per il giorno dopo, ma ci saremo lo stesso, domani,  per tentare di ricostruire quella prossimità che non esiste più, quei luoghi comuni che fanno l’incontro. Parleremo delle campane mute dell’Aquila, delle cose di case, dello strano destino che ci ha sparpagliato e poi fatto incontrare qui, bipedi e quadrupedi. E tu Cristina,  forse  un giorno racconterai a qualcuno di noi e dell’Aquila, quando tornerai a Minks  e il tuo racconto comincerà proprio così : “ Pamèz …Amarcord”

Patrizia Tocci ©( tratto da I gigli della memoria, narrazione collettiva a cura di Patrizia Tocci, con Post-fazione di Paolo Rumiz, ed. Solfanelli Tabula fati, Chieti 2012)