come è profondo il mare

Venditori ambulanti sulla spiaggia

Com’è profondo, il mare.

Appena lasci alle spalle il vialone trafficato e strombazzante, vedi subito la linea del mare. Te la indicano come una freccia le palme altissime che sembrano minareti sull’ orizzonte cittadino: un nastro più scuro che separa nettamente il cielo dal mare. I due azzurri si specchiano e si insidiano; si riflettono uno nell’altro per sfumare laggiù, dove l’occhio non arriva ma il desiderio sì. Qualche vela bianca triangolare trasforma tutto in un poster. Anche stavolta raccoglierò qualche conchiglia dalla mareggiata di ieri, una madreperla, un legnetto leggero, un sassolino particolare. Eppure non puoi togliere nulla dall’ acqua e dal mare. Subito le cose perdono luccicanza, diventano banali; muoiono i riflessi madreperlacei, l’iridescenza che ti aveva attirato. Finiranno con altre in fondo a quel cassetto buio della scrivania, insieme a souvenir di terra.
La spiaggia è già piena, il mare piatto. Già tutta spalancata, la foresta di ombrelloni e palme; sotto, bagnanti seminudi e costumi policromi. Ronzìo da alveare: di miele e di abbronzanti appiccicosi profuma l’aria. In alto aquiloni leggerissimi: a terra, sdraio e lettini circoscrivono uno spazio in cui si convive un po’ a fatica, come nei condomini. Un uomo atletico e abbronzatissimo fuma nervosamente; un nugolo di bambini seppellisce, come gli indiani Sioux, un piccolo nemico ferocissimo. Il rumore del mare si percepisce appena, in mezzo al frastuono di palloni che sfuggono a provetti calciatori, ai nuotatori in fila Indiana che si tuffano nel mare che, bontà sua, ci accoglie indistintamente nel suo grande abbraccio. Brutti belli magri vecchi giovani timidi sfrontati bianchi neri. Il mare è una specie di livella: azzera le convenzioni sociali e ci mostra così come siamo, nudi, inermi, fragili. Umani.
Forse ci ricorda quando eravamo poco più di un girino, nel ventre scuro di una donna. Ci rimette in sintonia con quel battito del nostro cuore, con il respiro del mondo. Persino i piedi, che normalmente costringiamo dentro oscure e strette scarpe rigide, godono della ritrovata libertà. Se ne stanno leggeri sulla sabbia e recuperano un gusto, una sapienza del camminare che avevamo perduto; la pelle riacquista i suoi sensori sensibilissimi e ci avvisa. Che delizia dimenticarsi nella sabbia tiepida, perdere tempo per perdere tempo. Che delizia abbandonarsi all’ acqua inizialmente fredda e poi passare a sentirla tiepida e poi calda. Tutto il nostro corpo riscopre l’essenzialità, recupera una dimensione infantile che credevamo perduta, ci regala impressioni, piccole variazioni, emozioni.
I bambini, tradizionalmente ancora armati di paletta e secchiello, presidiano con pervicacia il bagnasciuga; tra la sabbia e l’acqua crescono castelli. Costruzioni temporanee ed effimere, piene forse di creature magiche, pronte ad andare in rovina da un momento all’altro. Eppure stabilmente dentro il tempo della vita, quello che guida, come una meridiana nascosta, i nostri passi.
Guardo la sabbia e respiro, come fosse un piccolo giardino zen. Cerco di non sentire la telefonata lunghissima all’amica dell’ amica. Mi concentro sugli infiniti granelli di sabbia: piccoli avvallamenti mi ricordano le dune, il deserto. La colpa è anche del sole che costruisce ombre dolcissime. Non ho mai visto il deserto, ed è un viaggio che vorrei fare. Conosco soltanto deserti di neve, silenziosi, immobili, in cui emergeva a fatica qualche piccolo segno nero; su quel foglio bianco appena si intravedeva un filo spinato, la testa di un girasole ormai secco, qualche albero scheletrito. Un orizzonte chiuso tra montagne bianche. Quello della montagna è un orizzonte cupola: ti accerchia e ti raccoglie, con grande affetto ma un po’ ti imprigiona. Il deserto e il mare devono avere invece orizzonti simili, ti spingono sempre a pensare che dall’ altra parte ci sia ancora terra e mare, mare e terra. Ogni volta che vedo il mare – la memoria letteraria non mi da tregua – penso ad Omero e al greco: Talassa, sostantivo femminile. Forse da quel liquido amniotico tutti discendiamo, e attraverso passaggi ed odissee, ci trasformiamo da girini in uomini e donne, adulti o bambini, e frequentiamo le spiagge.
Un suono diverso, un richiamo sorpassa l’intensità del rumore: è un saluto incomprensibile ma cordiale, un torrente di sillabe e parole: due simili si sono incontrati e riconosciuti. Hanno vestiti leggeri e scarpe pesanti, sepolti sotto innumerevoli oggetti tra i quali spiccano lunghi e colorati i teli da spiaggia. Due arcobaleni si avvicinano e si abbracciano. Dopo l’abbraccio inizia un fitto dialogo che non capisco, ma posso intuire. E immagino: case lontane, altri che restano ed aspettano; immagino altri cibi, suoni e colori. Loro, invece, sono qui. Si attardano ancora nel colloquio, ormai diventato quasi un sussurro: sembrano due statue altissime, due baobab. Poi scacciano via la nostalgia, insieme ad una mosca fastidiosa e si salutano; le braccia riemergono, si alzano, si riempiono ancora di cianfrusaglie. Si separano in direzioni opposte. Attraversano con abilità foreste di corpi chiari, dribblano con delicatezza ombrelloni e dormienti.
Camminano e camminano e si portano dietro, insieme ai colori della nostalgia, anche quello della mia giornata.

IO SONO IL FIUME (di Patrizia Tocci)

 

IO SONO IL FIUME

Io sono il fiume. Per secoli un ponte di pietra, piccolo, arcuato, ben
fatto mi attraversava , mettendo in comunicazione gli abitanti di una riva
con quelli dell’altra. Ma non tutti potevano sostare sul ponte o passare
dall’altra parte. A questo c’erano uomini e donne deputati: gli
ambasciatori. Portavano merci, lettere, biglietti, notizie. Ma nessuno,
oltre i dodici ambasciatori, poteva passare il ponte; bisognava vivere di
qua o di là: sulla riva destra, sulla riva sinistra. Sul ponte c’erano
catene giganti: ricordavano a tutti che cosa avrebbe significato infrangere
le regole e i divieti che queste due comunità rivali si erano date per
interrompere una guerra durata secoli. Io sono il fiume e per secoli ho
visto scorrere il sangue. Poi c’è stato un lungo periodo di pace armata.
Nel frattempo sono nate storie d’amore clandestine, ci sono stati suicidi
nelle mie acque, ho dissetato interi filari di pioppi e di viti,
generazioni di pesci e di uccelli, di lumache e di ranocchi, di rospi, larve
e girini. Le donne, nei giorni buoni, venivano a sciacquare i panni e mi
tenevano al corrente di tutti i cambiamenti; i cavalli si abbeveravano con
lunghi sorsi e lunghi silenzi.
Io sono il fiume, e per tanti anni ho ascoltato le loro chiacchiere e i loro
sospiri, scoperto invidie e cattiverie, custodito segreti e miserie; ho
prestato orecchio alle loro cantilene, ai bisbigli e ai gridi soffocati,
ai primi pianti dei bambini, alle ultime parole dei morenti. Sapevo i
loro rumori e i loro profumi; da quale casa fuoriuscisse per primo il fumo
del camino, l’odore di una casa vuota, riconoscevo l’abbaiare dei cani, i
comandi dei padroni.
Poi, anno dopo anno, mi hanno confinato in uno stretto letto di cemento;
hanno tolto gli alberi, distrutto il ponte di pietra per sostituirlo con un
ponte lunghissimo, di ferro. Tutto si è allontanato e diventato
indistinto, evanescente.
Io sono il fiume e un giorno mi è scoppiata una nostalgia tremenda …
Ritrovare quegli odori e quei profumi, arrivare nel cuore della città,
dentro, dentro le loro stanze, scoprire il perché di questo assurdo
silenzio e di questa lontananza. Più di tutto avevo nostalgia degli occhi
di una donna, quella che ogni mattina s’affacciava in vestaglia alla
finestra, si appoggiava sul parapetto di legno, fumava la sua prima
sigaretta e piangeva. Poi si asciugava le lacrime e sul suo volto si
disegnava un’ombra di sorriso. E i suoi occhi, che avevano lo stesso colore
della mia acqua , si perdevano lontano. Non ho mai saputo il suo vero nome.
Il suo uomo la chiamava Occhi verdi, diceva che dopo l’amore i suoi occhi
diventavano verdi. Questo era il loro segreto. Io sono il fiume e per un
fiume non ci sono segreti. Anche quando piangeva aveva gli occhi verdi. Ma questo lui non poteva saperlo, né poteva capire il suo pianto. Io sono il
fiume e conosco il cuore delle donne e degli uomini. So che la vita è come
l’acqua e che ha bisogno dell’acqua per sopravvivere. E l’acqua trascina con sé tutto quello che trova. Ma qualche traccia resta sempre, da qualche
parte: un ramo, un fiore. Una volta Occhiverdi mi è arrivata vicina,
portando un lumino acceso; l’ha lasciato nelle mie mani, , ha bisbigliato un nome e mi ha detto “ portalo laggiù.” Io sono il fiume e non potevo certo
deluderla … Ho chiesto aiuto ad un altro fiume, i fiumi del mondo sono tutti fratelli. Sono arrivate persino le nuvole, a darci una mano … Poi per anni, più nulla … Solo macchine che correvano di qua e di là, tutti chiusi dentro quelle scatole, senza parole, senza sorrisi.
Io sono il fiume e mi gonfio di emozioni. Non ci volevo stare più in quel
letto di cemento. Non ne potevo più di scivolare a valle senza vedere nulla,
senza fermarmi nelle anse dove nascevano i girini, sostare nel tronco
pieno di muschio dove il picchio aveva fatto il suo nido. Volevo ritrovare
quella sabbia fine depositata nell’erba , allevare i gamberi grigi e
sfiorare i rami dei salici. La rabbia è cresciuta insieme all’indignazione,
giorno per giorno. Li avevo dissetati per secoli, sfamati, cullati e adesso
mi condannavano ad una solitudine di cemento …
Sì certo, sono il fiume e conosco la potenza dei miei nervi, l’intrico delle
vene, la velocità della rabbia. Così sono tornato fino alla casa di
Occhiverdi. Nemmeno la casa c’era più, nemmeno il parapetto di legno,
nemmeno il balcone. C’era solo un alveare di cemento. L’ho cercata
dappertutto, mi sono infilato nei vicoli, ho risalito i sottopassaggi e le
strade, ho bussato alle finestre… Me ne sono dovuto tornare al mare. Ho
mischiato la mia acqua dolce con la sua … Gli ho raccontato questa storia.
Il mare ha compreso. E mi ha lasciato andare giù, dove l’acqua è verde. Dove le alghe sono le dita del buio, dove la luce del sole entra appena appena.
Qui non ci sono ponti. Qui non ci sono voci.

Non tornerò lassù.

Patrizia Tocci© ( RIPRODUZIONE RISERVATA)