Bianconero

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Ci sono momenti in cui vorrei sparire e tornare soltanto dopo, come una gatta bianca che riappare sporca di nero e di fuliggine: andare lontano da quella mano che ti accarezza pensando di farti piacere ed invece è il suo piacere che si prende.
Giorni in cui mi metto addosso l’inquetudine; un cane nero, randagio, che pur avendo un luogo ed una ciotola piena scappa via perché non riesce a sopportare che tutto sia troppo buono, anche il padrone. Sono i giorni in cui bisogna scendere in profondità, non continuare a galleggiare tra scogli d’ansia: bisogna calare un secchio proprio in fondo al nero di un pozzo dove se ne sta silenziosa l’acqua. E bisogna chiedersi molte cose con l’ausilio del buio notturno: quelle stesse che al chiarore del giorno non saprei formulare.
Ci sono delle gazze bianconere.
Volano su questa baia di tetti scoloriti, atterrano per litigare e per contendere ai gatti e ai piccioni arruffati una porzione di spazio.
Le tegole dei tetti sono tanti tasti: suonano sempre lo stesso blues che conosco a memoria: note basse, così basse che non prevedono parole ma vanno ascoltate ad occhi chiusi. Ogni tanto s’unisce il campanile e la sua pietra bianca risuona lentamente; negli interstizi, tra una pietra e l’altra, i diesis sanno bene come continuare. Il mio scrittoio s’affaccia su questa baia, al secondo piano: e a volte desidero solo che avanzi una pagina bianca sulla quale spandere l’inchiostro nero negli interstizi e negli intarsi delle parole; che la nebbia sia l’unico fondale e la penna, giusta.

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