La valigia della memoria : i rumori

Nulla come gli odori e i profumi di una cucina sa riportarti a casa, magari dopo un viaggio in terre lontane. Ma anche i rumori non scherzano: li conservo in barattolo di vetro che apro, un po’ come un otre di Pandora, quando ho nostalgia di quei venti benigni, leggeri che possano riportarmi sulla via giusta. Un colore, il bianco e due rumori :quello del battuto che la nonna, e poi la mamma, preparavano sul tagliere di legno la mattina presto, oppure prima del pranzo. Il lardo, come lo strutto bianco contenuto nella vescica del maiale diventato un palloncino bianco appeso in cantina, veniva tagliato a striscioline sottili e poi energicamente battuto con un martelletto apposito che ho ritrovato, questi giorni; come un incipit musicale, è tornato alla memoria quel ritmo. Quella poltiglia bianca, oggi ritenuta pericolosa per i nostri alti tassi di colesterolo, si scioglieva per effetto del calore e dei colpi ripetuti e poi finiva nel sugo che borbottava per ore, a fuoco lento. Qualche volta le donne canticchiavano, lavorando; attraverso le porte ancora chiuse ne sentivo la voce. L’altro rumore, collettivo, come un coro, si sentiva quando c’era da preparare ed infornare i biscotti, i dolci e le torte: un rumore di schiocchi oggi sostituito dal vortice stridente e velocissimo della planetaria. Tanti colpi energici della frusta metallica dati al composto di farina, uova e latte ormai amalgamato, diventato fioccoso e spumoso; la pazienza e la forza sprigionavano profumi di limoni e lieviti. Ritrovare questi arnesi nella cucina materna è incontrare gli ultimi indigeni che parlano una lingua perduta. Sono storie di donne sconosciute che non entreranno mai nella grande Storia. Così i sogni confusi del mattino; ti sforzi di ricordarli per recuperare quei pezzettini di dolcezza, quelle briciole. A volte, nella valigia della memoria c’è troppo disordine e presenze mute, a cui non sempre riesci a dare voce.
©️Patrizia tocci