Nella mia valigia di cartone c’è una copia della divina Commedia di Sapegno, quella degli studi Liceali. È il volume che riguarda l’ Inferno ( gli altri due volumi dispersi chissà dove, meglio non indagare ): ha il dorso così consumato che si vede la cucitura, e parte della copertina è perduta. Cuoricini e parole a matita, a penna, ai margini, note e frasi sottolineate. E i ricordi riemergono in un attimo: l’aula, i visi dei compagni, le spiegazioni, i professori, gli odi infiniti e gli amori che sembravano eterni, lo studio e la noia, i sogni in gran parte ancora gli stessi. Riemerge l’odore del treno che mi portava a scuola, mattinate immerse nel freddo, o nelle nuvole calde di fumo. Il volume si è gonfiato, sottoposto a bruti trasferimenti; sfogliato, usato, maltrattato. Tante, le iniziative per celebrare Dante, in questo anniversario; lui, che ha condizionato la poesia mondiale e viene studiato e letto all’estero forse più che in Italia; saccheggiato dagli scrittori, poeti, pubblicitari, registi, cantautori, fumettisti. Sta nel nostro lessico familiare, con parole e versi diventati patrimonio comune.
E’ un gigante, il nostro fiorentino. In questo periodo un po’ strano delle nostre vite, possiamo farci un regalo: rileggere la Commedia, tutta. Canti e cantiche che lui concepì come un’unica storia umana. Scuotiamo la polvere che si è depositata sulle tre cantiche e il libro tornerà a splendere. Le terzine insistenti e magiche scorrono sempre come un congegno ben oleato, come se fossero state lì ad aspettarci – nel dono immenso che ci fa la lettura; da quelle più famose a quelle più oscure: “ e però, quando s’ ode cosa o vede / che tenga forte a se l’anima volta, / vassene il tempo e l’om non se ne avvede”. Quando qualcosa o qualcuno ci tiene stretto a sé, il tempo passa più in fretta. Intanto scriviamo e pronunciamo parole, per abbracci ancora virtuali, in attesa che possano ridiventare umani, da togliere il fiato.