“MEMORIA NON è PECCATO, FINCHè GIOVA”

GIOVEDÌ, 20 FEBBRAIO 2014 -IL CENTRO – Pagina 19 – L’Aquila
Patrizia Tocci: guai a perdere la memoria
La docente e scrittrice: il 6 aprile 2009 vidi morire la città, ora serve orgoglio, condivisione e senso di appartenenza
L’INTERVISTA 6/ CINQUE ANNI DAL TERREMOTO di Monica Pelliccione Tra le pietre antiche, sui muri lesionati dove si sono aperte profonde ferite, spuntano i gigli. Fiori di ferro, piantati qua e là. Se ne trovano a decine nel centro storico aquilano. Simbolo di una città battuta ciclicamente dal sisma. Emblema di una terra che non vuole arrendersi alla furia della natura. Patrizia Tocci lo sa bene. Nel 2006 ha iniziato a studiare il significato intrinseco di quei gigli, narrati a più riprese dalla poetessa aquilana, Laudomia Bonanni. Strani simboli legati alla storia passata, al sisma del 1703. Ma la storia ritorna, con il suo passato che diventa presente. La notte del terremoto i gigli erano sui muri, silenziosi. Tutt’intorno, devastazione e paura. Patrizia Tocci, quali ricordi riaffiorano alla mente, di quei terribili momenti? «La mia casa era in centro, vicino a San Pietro. Alla scossa delle 22,30 abbiamo abbandonato la nostra abitazione per rifugiarci in un camper posizionato vicino al cinema Movieplex. È da lì che ho assistito, inerme, alla morte della mia città. Pochi secondi per spazzare via tutto. Ricordo luci arancioni fiammeggiare nel buio della notte, mentre dal finestrino del camper vedevo cadere giù tutto: le case, i sogni, la mia terra. Ho capito subito che non avrei rivisto la mia casa, almeno non come l’avevo lasciata». Quando ha preso coscienza che qualcosa era mutato per sempre? «La mattina presto, all’alba, io e mio marito siamo saliti in sella a un motorino per raggiungere la nostra casa. Da fuori sembrava integra, in realtà dentro era completamente lesionata. Un gesto d’impeto, quello di correre in centro, quasi irragionevole. Tutti erano andati via, fuggiti e il quartiere era già deserto. Continuavo a telefonare al mio numero di casa, solo per sentir entrare la segreteria telefonica, che avevo attivato da poco ed era ancora in lingua danese, perché non avevo trovato il modo di inserire l’italiano. Sentire la voce della segreteria mi dava calore, quasi fossi di nuovo a casa». Ma il centro storico era un ammasso di macerie: un’immagine indelebile di dolore e disperazione. «Ricordo solo macerie, frontoni caduti, ovunque massi e polvere. Mi sentivo impotente e fragile, pervasa da un’incredulità che non mi dava tregua. Continuavo a guardare la città con gli occhi della memoria. Per mesi mi sono portata dietro questa sensazione, rifiutandomi persino di indossare scarpe con il tacco. Era come se non riuscissi più a fidarmi della terra che calpestavo. Una sensazione che non mi ha ancora abbandonata». Nel 2012 è stato pubblicato il libro «I gigli della memoria»: una narrazione collettiva che ripercorre, attraverso 55 testimonianze, le prime ore dopo il sisma. Com’è nata l’idea? «In realtà, già dal 2006 avevo iniziato a studiare la presenza dei gigli sui muri della città. Quei fiori in ferro battuto che spuntavano sui muri degli antichi palazzi e che servivano a tenere legate le travi principali. Ho cercato nei vicoli e li ho trovati, molti. Ho scoperto che erano posizionati quasi sempre in alto, nei piani più elevati. Una passione, quella per i gigli, sbocciata leggendo Laudomia Bonanni, che riconduceva la loro presenza al terremoto del 1703. Ma il mio interesse era solo da studiosa. Mai avrei immaginato che, di lì a tre anni, la catastrofe si sarebbe ripetuta. Ho maturato l’idea di raccogliere delle testimonianza legate al sisma e al simbolo della città». I gigli come ricordo della terra ballerina e della forza della natura? «Una sorta di memoria storica: questo vuol essere il libro I gigli della memoria. Una testimonianza da lasciare ai posteri, che racconta le prime dodici ore dopo il terremoto. Voci vere, che hanno vissuto la tragedia e che non dimenticheranno, come tutti gli aquilani. L’Aquila non deve dimenticare perché la memoria è essenza stessa dell’identità di ognuno». Sono passati quasi cinque anni dal sisma, tra luci e ombre. Con quali occhi guarda adesso la città? «Vedo una collettività che non è più tale, disgregata, parcellizzata, senza un’identità. La gente ha bisogno di condividere la propria memoria. Abbiamo vissuto una cesura dalla quale è difficile riprendersi: il solco lasciato dal sisma è profondissimo e lo valuteremo solo nel tempo. Credo che, negli aquilani, sarebbe dovuto scattare un orgoglio maggiore, un senso di appaLIBRO GIGLI ROMArtenenza e condivisione che sono mancati. Si è ragionato sul filo degli interessi e delle divisioni». Una politica errata che rallenterà la ricostruzione? «Il più grande desiderio di ogni aquilano credo sia quello di veder ricostruita la propria casa. Per riavere la città ci vorrà del tempo, ma è necessario dare un’accelerata al processo di rinascita del centro storico perché la variabile temporale è fondamentale. Un anno in meno di attesa significa restituire prima ad ogni aquilano una parte della propria storicità ed esistenza». ©RIPRODUZIONE RISERVATA
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un viaggio nella memoria con Livia de Pietro

Recensione  libro :”I gigli della memoria” di Patrizia Tocci, edizione Tabula Fati Solfanelli Chieti 2012

E’ un libro che si compone di due parti e una postfazione.  Nella prima sono raccolte 55 testimonianze  di persone che raccontano le prime dodici ore della loro seconda vita, cioè quella immediatamente successiva al terremoto del 6 aprile 2009, quando, alle ore 3.32 del mattino, una forte scossa di magnitudo Richter pari a 5.8 colpì la città di L’Aquila e i suoi dintorni. Gli effetti di quel terremoto, come sappiamo , sono stati particolarmente distruttivi in prossimità dell’epicentro, con numerosi morti e feriti, diverse decine di migliaia di sfollati e danni soprattutto concentrati alla città dell’Aquila. La seconda è praticamente un viaggio nella memoria e nell’identità aquilana dal tempo successivo al terremoto fino  ad oggi. E’ insomma un libro scritto con stile autobiografico in cui il tema della morte è il motivo conduttore. Straordinaria è  la capacità  di ricordare i fatti con ricchezza di particolari. Il libro è permeato da una grande umanità e da un grande amore per la vita anche nei momenti più bui e dolorosi.

Il racconto della memoria è un genere letterario che può essere descritto in vari tipi di trasposizioni stilistiche (poesia, prosa ecc.) e narra di ricordi reali avvenuti nell’esistenza di una persona o di un popolo che l’ha segnato in maniera particolare. Grandi esponenti del racconto della memoria sono, nella letteratura italiana Primo Levi, Ignazio Silone e Italo Svevo. Se questo genere tende solitamente a essere prevalentemente descrittivo, si rivela spesso e volentieri una lettura dell’anima, dei ricordi, dei momenti importanti della vita di una persona.

Il racconto della memoria è talvolta fatto coincidere con il genere autobiografico nonostante le differenze tra i due generi: mentre l’autobiografia assume interesse per un personaggio di rilievo (storico, letterario, scientifico, ecc.) la memoria può essere interessante anche quando proviene da personaggi privi di qualsiasi rilievo, perfino illetterati, dal momento che essa attinge valore dal suo essere testimonianza di un’epoca, di un ambiente sociale, di un periodo storico, di un costume linguistico, ecc. Esempi ne sono le memorie scritte da spettatori minori di eventi storici, come soldati semplici, servitori di personaggi storici, vittime o superstiti di eventi storici, deportati in lager. In questo caso, l’autrice riporta esempi di semplici cittadini colpiti dalla tragedia.

E’ evidente che in questo libro balza subito agli occhi l’importanza della memoria. Oggi, quando si parla di memoria nel campo letterario, ci si riferisce ad alcuni contenuti, ad esempio ai momenti più tragici della storia del XX secolo, con i suoi campi di sterminio, i suoi micidiali strumenti di repressione, i suoi totalitarismi. Il genere letterario della memoria diventa allora l’esigenza etica di non dimenticare, come atto di giustizia e di responsabilità verso le vittime, come impegno a vigilare perché orrori simili non si ripetano. La funzione e l’importanza della memoria fu per prima riconosciuta dal filosofo francese, Henri Bergson voce autorevole in patria e massimo esponente dello Spiritualismo ottocentesco. Fu insignito del Premio Nobel per la letteratura nel 1927, il quale diceva. «Noi siamo il nostro passato», ed esso non può essere recuperato con altro sistema se non attraverso il meccanismo della memoria.  Ecco allora che, leggendo “i gigli della memoria” si avverte una tenace fede nella letteratura come memoria, un veicolo verso una presa di coscienza anche se avviene per vie tortuose e dolorose. E’ l’autrice stessa che inequivocabilmente conferisce questo obiettivo alla sua scrittura e lo dice nella prefazione: lettura pag.5/6

Il libro di questo genere più famoso è Il diario di Anna Frank, una ragazza ebrea che morì in un campo di concentramento in Germania. In esso la ragazza scrive delle lettere a una amica immaginaria e le racconta tutte le sue toccanti vicende della persecuzione ebraica durante la II guerra mondiale. Questo libro, scritto in forma di diario, pubblicato nel 1947 dal padre, Otto Frank, fu preso a modello nella letteratura. In esso sono ravvisabili 4 elementi fondamentali:

1) ambiente circoscritto

2) Personaggi ben delineati

3) Assenza o trama scarna

4) Fine etico

Nel tempo si sono diffusi diversi libri della memoria Uno famoso fu “Il mestiere di vivere” di Cesare Pavese, scritto nel periodo del suo confino a Brancaleone Calabro ed è una forma originale in quanto non racconta interamente i fatti perché invita  il lettore a scoprirli o immaginarli mettendo in moto la fantasia. La Tocci, allo stesso modo,  lascia nel lettore uno sgomento che genera voglia di fare, di collaborare con ogni mezzo per alleviare le sofferenze degli aquilani, così duramente colpiti.

Ci sono anche dei dialoghi e vengono espresse sensazioni. Altro libro famoso che rientra in questo genere  è  “La tregua “, di Primo Levi.

Patrizia Tocci presenta un testo di grande intensità: come un torrente in piena, le sensazioni giornaliere di chi racconta, travolgono il lettore con la loro forza, tale è l’urgenza dell’ispirazione  da imprimere sul foglio. Un’ispirazione intrisa di grande semplicità, con una forte connotazione di attualità e coraggio, in cui a momenti più bui si contrappongono esplosioni di luce, spiragli di speranza così come testimonia prima pagina  della  seconda parte.

Lettura a pag. 185

l’autrice ci permette, con grande sincerità, di leggere nel suo animo e di riflettere le nostre sensazioni di lettori nelle emozioni suscitate dalle sue pagine  come in quelle dove  appare evidente la capacità di sintesi e l’ottimismo ravvisabile nella speranza della ricostruzione.

Il libro, ha   come protagonisti una folla di personaggi e non potrebbe essere diversamente perché la vita  non è mai una questione individuale: senza gli altri, sen­za le dimensione comunitaria, qualsiasi esistenza non avrebbe senso.“I gigli della memoria” racconta quindi un momento cruciale della nostra storia attraverso 55 testimonianze di aquilani nel cui percorso, alle prese con un Noi da ricostruire, c’è il senso di questo libro , che è un grande affresco sulla memoria di un tragico momento, nella speranza che si ritrovi una visione positiva, solidale e aperta al futuro. 55 storie vissute attraverso gli occhi di 55 persone diverse . Il lettore viene virtualmente accompagnato sul luogo dei fatti, uno degli obiettivi primari è proprio quello di mostrare gli avvenimenti al lettore come se li vedesse da dietro il mirino di una telecamera.  Il libro parla insomma di tante vite, che potrebbero essere  quelle dei nostri genitori e dei nostri nonni, quelle di un passato che sembrerà lontano e che invece sarà sempre vicino grazie al racconto e alla memoria. Una storia che si delinea a partire dalle dinamiche tra le persone, dalla condizione sociale di coloro che l’evento l’hanno subito, dalla condivisione di un piano comunitario di ricostruzione. Attraverso il vissuto umano si sviscera il passato per leggere meglio il futuro, si costruisce un percorso della memoria che è fondamento per il presente e strumento per affrontare il domani. Il libro è un invito a credere ancora nella ricchezza del valore umano e nella forza dei rapporti tra le persone.

La speranza di un rinnovamento non solo della comunità abruzzese, ma con il concorso di tutta la società italiana,  viene dalla possibilità di costruire una rete di relazioni tra le persone che sia di solidarietà e di integrazione. Lo esprime l’accorato appello che la Tocci fa (lettura a pag.  189)

La coscienza della relazione con l’altro è fondamentale ed è per questo che bisogna sempre raccontare, l’atto più grande di generosità verso gli altri, perché chi racconta ha ascoltato e insegna ad ascoltare.

In conclusione, io la ritengo un’opera “coraggiosa” per la forza dei temi affrontati.

 

Livia De Pietro

(critico letterario)

I GIGLI DELLA MEMORIA: LE PRIME RIGHE DI UNA NARRAZIONE COLLETTIVA

SEZIONE 1   NUMERI

 

Quattro umani e tre gatti ( Maria Cristina Rosa)

 

Eccola. Eccola,  eccola. Eccola. Pensavo solo questo e questo ripetevo, mentre cercavo di alzarmi, di chiamare i figli, di trovare la porta.Eccola, eccola. Ma eccola chi? Ma eccola cosa? La scossa, la paura, la fine? La morte?Iniziò con uno scricchiolio, un cigolìo…

 

30 secondi ( Stefano Carnicelli)

Appena trenta secondi; il tempo necessario per distruggere e stravolgere i destini e le vite di un’intera popolazione. Solamente trenta brevi, insignificanti, marginali, terribili e fatali secondi. Purtroppo è arrivato anche questo tempo che nessuno mai avrebbe voluto vivere: un terrificante appuntamento con un destino  molto più grande e forte di tutti noi messi insieme…

 

720 minuti ( Fabio Iuliano)

Ore 3.35: non trovo i pantaloni. Al buio non trovo i pantaloni. I jeans che avevo addosso la sera prima devono essere ai piedi del letto. Sono sicuro di averli lasciati lì, ma non li trovo. Mi sento un cretino se penso a tutti quei discorsi sulla prevenzione, con cui abbiamo riempito i giornali senza capire neanche quello che stavamo scrivendo.

Il quarto pilastro ( Adriano Sabatini)

Quella notte, dopo tante scosse premonitrici, arrivò quella devastante: così intensa e prolungata che la casa sembrava essersi trasformata in una vecchia lavatrice,  con il programma di centrifuga avviato. Sbalzati dal letto, ci riunimmo nella parte della casa che ritenevo più sicura.  Anni prima, mio suocero,  si adirò con il progettista perché  durante i lavori di costruzione,  al centro, saltò fuori un quarto pilastro che nel  progetto originario  non era previsto.

 

25 settimane  ( Patrizia Santangelo)

Il 6 aprile del 2009,  Edoardo era dentro di me da 25 settimane: è stato lui, con i suoi calci e con i suoi pugni, il termometro della mia paura. Mio marito ed io avevamo deciso di dormire a Villa S.Angelo quella notte, a casa di mia madre. Ero molto stressata dallo sciame sismico  che ci perseguitava sin  dal mese di dicembre, anche se la  mia preoccupazione, dopo le rassicuranti dichiarazioni della Commissione grande rischi: “Non- c’è- da- preoccuparsi; L’Aquila- trema- ma- non- crolla; più- scosse ci – sono- più- energia- si- libera” si era affievolita.

 

 

 

ANNO ZERO ( FEDERICA MEOGROSSI)

 

Non avevo paura del terremoto.

Sorridevo quasi con distacco quando le amiche si dicevano spaventate da quelle scosse sempre più forti e ravvicinate,  che ormai ci facevano compagnia da mesi.

Anche il 30 marzo, dopo lo spavento del momento, ero tornata alla mia calma placida di fronte a quei sussulti della terra che, mi convincevo, facevano parte della nostra vita, come il freddo pungente e la brina dell’inverno.

 

TRE E TRENTATRE’    ( Luisa nardecchia)                                                                                                            

Muti. Scendiamo le scale, i piedi pesantissimi. Le pareti si rigano di un zig-zag nero, e scricchiolano di un rumore mai sentito. “Si sta spaccando”. Saliamo in macchina e le scosse continuano: tre ore lunghissime a occhi sbarrati. L’autoradio accesa, indifferente, gracchia poco o niente.   A Piazza D’Armi. E’ lì che mio padre ci portava quando eravamo piccoli e faceva il terremoto, così ora ci andiamo anche noi, perché è lì che si va. Quando si è in tanti la terra trema di meno, o non la senti così forte come quando sei da solo.

 

 

 Sezione 2  LA LISTA

La lista (Raimondo Fanale)

Mi sveglio: la volta si apre e la polvere mi cade negli occhi.
Sento un rumore di vetri rotti e guardo il lampadario. Non capisco: oscilla lentamente. Oscilla, ma è ancora lì, attaccato al soffitto.
Mi guardo intorno e vedo la vetrina del mobile dei miei genitori ancora intatta; mi sono addormentato, seduto sul loro divano, dopo una cena in famiglia.
Nessun vetro rotto e una seconda oscillazione del lampadario.
La luce è accesa e il divano si è spostato in avanti.

Gocce di valium      (Anna Pacifico  Colasacco)

Le scosse si susseguivano da mesi. Tante. Troppe perché il sistema nervoso non ne risentisse. Le ultime di quella notte ( era la domenica delle Palme) erano state forti. Mia madre e mia sorella erano sul letto matrimoniale, mio marito e  io avremmo dormito sui divani, in salotto. Nessuno di noi era nella propria casa. La paura ci aveva fatto scegliere un’abitazione messa a disposizione da amici. Non potevamo sapere che ci saremmo trovati sull’epicentro

 

Il lampadario del  Magoo ( Stefano Catastini)

Cominciamo  dalla sera prima…

Ero dentro il Magoo, in  via Sassa , seduto proprio sotto il lampadario dell’ingresso. E’ arrivata la scossa delle 22 e 45 ;  la prima  che ho avvertito in tutta la  mia vita! Ho sentito il tremare lo sgabello; mi sono guardato intorno e mi è venuto da sorridere…Mi sono detto : “Eccolo,  il terremoto:  finalmente l’ho sentito anch’io”.  Il lampadario  oscillava ma   siamo usciti,  con  tutta calma,  dal locale. Non avevo in testa l’esatta misura di cosa potesse  significare il terremoto.

 

Le chiavi della macchina ( Fabio Sabatini)
Alle ore 20 del 5 aprile 2009 dovevo incontrare due amici e con loro  andare a vedere la  partita Milan-Lecce,  al Bowling di Sassa. Ricordo bene che al primo goal del Milan mi sono detto:”Vuoi vedere, mo’ che  ha  segnato Senderos  fa  una  scossa?”
Neanche il tempo di dirlo:  ecco la prima forte scossa…erano le 22.48. Sono rimasto  seduto.. come la maggior parte della gente che era lì. Finita la partita,  ho riaccompagnato i miei  amici  in città, in  via Arco dei Veneziani e sono tornato a casa, in Via  Fontesecco.

 

I sacchi  per la Caritas ( Maria Teresa Mosca)

Devo tornare indietro di qualche ora. Intorno alle 23 mia figlia era al computer (aveva trascorso tutto il pomeriggio a scrivere
una relazione sui … terremoti) ; io guardavo  la  tv. Sul televideo compare la scritta di un evento sismico tra Forlì e Cesena.. Non mi preoccupo più di tanto,  in quei  giorni “ballavamo“ spesso. Con la scossa delle 00.39 però il PC si blocca;  internet non funziona più. Convinco mia figlia ad andare a dormire: “muoviti,  domani devi andare a scuola!” Mi vuole a dormire con lei: l’accontento. Cuore di mamma,  le dico: metti

Le posate d’argento   ( Fabrizia  Petrei)

Il telefono squilla.

La scritta “Laura” lampeggia, taglia il buio, a intermittenza. “Che ore sono, le 3.47. Ma è tardi.Avrà di nuovo litigato con Mario, non rispondo, mi dirà domani” penso, nel sonno. No, devo rispondere, è notte fonda, avrà bisogno di me. “Hai sentito i tuoi?” faccio un salto sul letto. “Laura,  che è successo?” “Un terremoto, ci ha svegliato anche qui a Roma, ho sentito che è stato a L’Aquila. Ho provato a chiamare Francesca, ma non ci sono riuscita, magari li hai sentiti tu…”.

 

 

 

Le tendine rosse ( Maria Grazia Cucchiarelli)

Il  5 aprile,  domenica delle Palme,  mi sono dedicata alla pulizia della mia casa.

Le “pulizie di Pasqua”,  che mia madre cominciava ben prima della settimana Santa, sono sempre state per me una consuetudine necessaria e ineliminabile. La mia casa è/era grande.  Ho cominciato il lavoro dalla mansarda.

L’intera giornata a pulire poco più di 60 mq. Mattinata impiegata a  spostare oggetti, sistemare cassetti, spolverare, lavare. Il pomeriggio  mi sono “applicata” a cucire delle bellissime tendine rosse.

LO SPECCHIO GRANDE  ( RENZA BUCCI)

 

Avrò sempre il rimorso di non essere riuscita a convincere i miei cari di venire a stare  da me,  come invece era accaduto già un’altra volta: dopo la scossa del 30 marzo.  I letti che li hanno accolti quella notte sono rimasti aperti per mesi e ancora oggi ci sono le lenzuola dove immagino di sentire il loro odore lasciato in quelle poche ore di sonno.

Alle 3,32 del 6 aprile dormivo un sonno non tranquillo:  mia figlia aspettava una bambina e stava per scadere il tempo; ero preoccupata per il parto imminente, che immaginavo sarebbe stato precipitoso, come quello che  due anni  prima ci  aveva regalato Francesco, il nipotino più bello del mondo.

Ci siamo svegliati di soprassalto.

VESTITI E SOLDI ( ELISABETTA D’AMBROSIO)

Non sapevo che ora fosse quando   il mio letto ha cominciato a scivolare,  da tutte le parti.

Strani  rumori: il tintinnio della fioriera che sbatteva contro le ringhiere dei balconi, il tonfo  del mobile a parete della cucina, l’allarme di casa che suonava perché era andata via la luce, la centralina del computer, lo scricchiolio del legno dell’armadio posto di fronte a me e infine mio marito che urlava:”Oddio,  oddio!”.

Non sono riuscita subito  ad alzarmi perché lui mi teneva ferma; ma io pensavo ai bambini che dormivano nella stanza accanto

 

La coperta  rossa      ( Lidia Carlomagno)

Che cos’è, alziamoci, di corsa fuori, Roberto sbrigati, muoviti, Gesù mio è troppo forte, trema tutto, non finisce più.  Scalza ma vestita,  mi ritrovo su Costa Masciarelli. Non ho più fiato, urlo a mio figlio e mio marito di uscire di casa velocemente, i vicini cercano di calmarmi;  mio figlio urla dalla sua camera <sto arrivando, calmati!> Tutto questo mi è stato raccontato :io non lo ricordo.     Saliamo lungo la Costa ,  con il solo desiderio di arrivare in piazza. Vengo trascinata a forza, urlo, piango, mio figlio mi sorregge,la vicina mi schiaffeggia:  sono fuori di testa per la paura. C’è una gran puzza di gas, arriva un’altra scossa

 

SEZIONE N 3 A PIEDI NUDI.

A piedi nudi  ( Patrizia Ferri)

Da giorni cercavamo di adottare comportamenti “ preventivi” : automobili parcheggiate già all’aperto e borsoni con indumenti già pronti.  Un borsone con pochi indumenti si trovava,   da circa un mese,  sui sedili della  mia auto, suscitando l’ilarità degli amici e dei colleghi con cui viaggiavo normalmente per recarmi al mio luogo di lavoro.  Uno di questi colleghi, incontrandomi  qualche mese dopo, mi ha detto: “ti ho pensata molto in questo periodo! Ricordavo sempre il tuo borsone pronto!”

LE BALLERINE DI VERNICE ROSSA ( LAURA PELLICCIONE)

Il lunedì mi sarei dovuta alzare alle 6.30. Tutto era pronto: la borsetta termica in cucina con il pranzo, il camice stirato di fresco e ben piegato pronto per l’uso, i vestiti pronti sulla sedia vicino al letto, il cappottino di felpa, le ballerine di vernice rossa in ordine, al lato del comodino , i telefoni con la sveglia programmata. La prima scossa: “Albè, l’hai sentita?”,“Si, l’ho sentita”. Mia madre chiede: “ l’avete sentita?”- “Sì,  ma ormai è passata”.

 

 

Scalzi  (Silvia  Gisotti)

Non potrò mai dimenticare quella notte…Erano le 3.32: mio marito mi sveglia,  dicendomi “Silvia, è arrivato … E’il terremoto”.

Ci siamo alzati ma era completamente  buio e   la corrente era andata via. La casa si muoveva. Ondeggiava,  paurosamente,  da una parte all’altra. Il  nostro  primo pensiero  è stato di chiamare  i  figli:  Michele e Andrea.  Uno si era rifugiato sotto la sua  scrivania, l’altro aveva la porta chiusa;  ad essere sincera,  era stata la scossa a bloccargli la porta. Siamo riusciti ad aprirla e a  farlo uscire.  Solo allora  ci siamo abbracciati, tutti:  stretti stretti.

Una scarpa e una ciabatta ( Paola  Contento)

 

Non dormivo più  nella mia camera,  da circa due mesi:  “alloggiavo” nel divano letto del soggiorno per  stare più vicina a mio figlio. Romolo e Magda,  i miei  vicini mi avevano rassicurata,  verso la mezzanotte : “stai tranquilla,  la casa è sicura…”

Il rumore sordo,  inusuale,  di quella notte  mi informa che non è la solita scossa.

Le pareti del soggiorno cominciano a muoversi; sembra vogliano camminare per incontrarsi;  mio figlio non si sveglia e cerco di aiutarlo con dolcezza, prendo tempo per non impaurirlo.

Scarpe e ciabatte ( Raniero Pizzi)

“Speriamo”.

E’ l’ultima parola che ho digitato sulla tastiera del computer di casa. Ora quella tastiera, insieme al computer, agli strumenti  di lavoro e alle cose care di tutta una vita, è sepolta dentro una casa di via Campo di Fossa. Ho perso tutto, tutto tranne la cosa più importante: la mia vita e quella dei miei cari. A qualcuno è toccata sorte ben peggiore.
“Speriamo” era la parola che avevo scritto nell’ultimo messaggio ad  un amico di Facebook. Parlavamo di terremoti

 

SEZIONE 3 QUI, E’ ANCORA NOTTE

La prima sigaretta ( Walter Cavalieri)

Abito a Coppito, in un appartamento con giardino.

Quella sera, prima di andare a dormire, mi ero trattenuto un bel po’ davanti al computer;  fino a mezzanotte inoltrata,  con gli amici di Facebook  si commentava la recente scossa (magnitudo 3,9) avvertita intorno alle 23. C’eravamo quasi abituati,  dalla metà  di dicembre,  a convivere con centinaia di scosse,  e riuscivamo quasi a scherzarci su

Davanti alla tv.  ( Patrizia Petricola)

Dormivo nel mio letto.  ma alle 3.32 , mi sveglia. Non di soprassalto,  poco a poco. Secondo dopo secondo , la mia mente  riacquista lucidità. Botte, sotto e intorno al mio letto. Botte.  Ancora botte. “E’ forte. Dio, quant’è forte. E’ fortissima!”. Il sonno mi ha fatto perdere il grande boato iniziale che tanti,  poi,  mi hanno raccontato, ma  ho sentito invece  fino in fondo  lo scricchiolio proveniente  dai mobili della mia stanza.

DIETRO UN VETRO ( CRISTINA Busilacchio)

I ricordi si confondono.  Il giorno dopo avrei  dovuto fare la prova di tesi con il mio relatore,  a palazzo Camponeschi, all’Università. Già tutto fissato:  alle 14,30 del 6 Aprile. Le solite piccole abitudini,  prima di andare a dormire: vado in bagno e torno, indosso il pigiama e penso: potro’ dormire sino alle 10, metto la sveglia alla solita ora. Invece vedo mio padre  ancora sveglio,   disteso sul letto ma  completamente vestito e ha già messo una candela, sul comodino. Non dico nulla e penso: “quando finira’ questo terremoto?”

La coda del drago ( Francesca Curtacci)

Mi trovavo con la mia famiglia nella mia casa in Via Arischia,  ( a fianco della Chiesa di San Pietro ).Dopo la scossa di mezzanotte,  avevo  deciso di far dormire nel lettino con le sbarre del fratellino,   mia  figlia che aveva 2 anni e mezzo,  perché  si era molto spaventata delle scosse precedenti. . Il piccolino,  di  soli 7 mesi, avrebbe dormito in mezzo a me e mio marito; così  almeno  potevamo stare  tutti nella stessa stanza. Alle 3.25 circa il piccolino si sveglia perchè ha fame; lo attacco al seno.    Dopo pochi minuti  si  scatena il l’inferno.

 

L una Piena ( Paola Bartolomucci)

Alle 23.00  avvertimmo una scossa: decisa, forte, un secco sussulto sotto i piedi. Accendere internet, cercare  su Facebook in quei momenti era diventato normale già da qualche mese, oserei definirlo un atto dovuto di “fratellanza on line”, forse un modo  per “esorcizzare la paura” .

Beatrice,  la mia piccola di 8 anni, dormiva placidamente;  Laura, la maggiore, si aggirava nervosa e mi aveva già sollecitato in “malo modo” come una tipica diciassettenne in rivolta con il mondo,  a spegnere il computer.

Primo nemico, il sonno     ( Reinaldo del Vecchio).

Una notte  come tante,   trascorsa  nella speranza di non avere un  risveglio sgradevole . . Erano notti  tempestate da  continui  risvegli frequenti: piccole scosse e piccole paure. Invece  proprio quella notte , ci ha sorpresi  addormentati,  e dentro casa.. Avevo  quasi percepito debolmente la  prima scossa,   forse quella delle 11,15 ; ( non ricordo bene l’orario):  ma  fiduciosi che non ce ne  sarebbero state altre,  siamo rimasti in casa ..

Un ballo in macchina ( Cristina Spennati)
Ricordo il buio. Nel buio un rumore assordante,  un martello pneumatico, che aumenta di intensità; d’istinto mi sono buttata sopra il mio bambino, per proteggerlo da eventuali crolli, e gli dicevo “zitto mammì, zitto, che mo’ passa” 30 secondi: i  più lunghi della mia vita.
Mio marito   di corsa, giù per le scale,   ha spalancato  la porta della mia camera, gridando con il terrore negli occhi:  mai l’avevo mai visto così.


Colazione all’aperto ( Mario Rotellini)
Paganica,  5 Aprile 2009 ore 22,45:  ennesima scossa. Di nuovo un fuggi fuggi
generale verso luoghi sicuri, nelle auto, camper o roulotte. Quella sera non
era fredda;   c’era tanta gente  in giro che cercava di sistemarsi per la notte. Per
passare il tempo si parlava, si raccontavano barzellette, non si aveva voglia di rientrare nelle proprie abitazioni perché c’era la paura e il sospetto che potesse arrivare un terremoto più forte.

 

Qui, e’ ancora notte  ( Cristina Mancini)

Oggi, mentre scrivo, il cielo è livido e carico di pioggia. Fa freddo,  come in inverno;  nulla ricorda il dolce tepore primaverile di quella domenica delle Palme dello scorso anno.
5 aprile 2009: cerco nella memoria frammenti di immagini ,  sensazioni,…Di quell’ ultimo giorno della mia prima vita mi restano solo pochi insignificanti particolari: il consueto pranzo nel tinello di mia madre , il pomeriggio ad oziare in casa, qualche faccenda domestica, i figli maschi al cinema con il loro papà. Poi la sera, gesti consueti, una cena improvvisata con quel poco che c’è in frigo

Da qui non ce ne andiamo  ( Biancamaria Cimini)

Ore  3:31:48: dormo  con mio fratello Giancarlo,  nella parte bassa del nostro letto a castello. Sono scesa alla scossa dell’una:  rimanere a dormire nel mio letto, in un soppalco alto 2 metri , mi fa paura: forse staremo un po’ stretti, ma sarà solo per stanotte…

3:32..Cosa è questo boato? Giancarlo si sveglia, si gira e mi abbraccia. Mi stringe forte per non farmi muovere

 

 Sezione n 5  l’esodo

L’esodo   (MAQ)

Ero a letto: dopo una giornata passata a Roma per un raduno di Auto d’Epoca. Avevo  trascorso un po’ di tempo davanti il pc,   sentito e commentato tutte le scosse precedenti: dopo mesi di scosse,  era diventata una consuetudine  cercare di indovinarne la magnitudo; così l’ultimo saluto su Facebook era stato dedicato  all’ultima scossa:  “ anche stasera ci ha dato la buonanotte”.Ci scambiavamo anche  SMS con alcuni amici,  per tranquillizzarci a vicenda e poi,  a nanna.

Il  boato mi svegliò:  iniziò a muoversi, ruotare, ballare tutta la casa.

 

 

 

Verso il mare  ( Sonia Castellani)

 

Di quel giorno non ho una visione nitida, ma immagini in sequenza…

Il muoversi tutto intorno a noi, io che nel sonno urlo, mio marito che mi blocca con un braccio come per non farmi cadere, i miei figli che chiamano, il più grande che non riesce a muoversi, bloccato com’è dalla paura e dal buio totale…

Riesco a raggiungere la sua camera, costruita in un’altra ala del nostro appartamento;  lo abbraccio e lo consolo…Afferro l’altro bambino, mentre mio marito e mia figlia sono già sulle scale.

 

La domenica delle palme   ( Marina Lauri)

Domenica delle Palme: processione con i nipoti che sventolano al vento le loro palme d’ulivo e seguono me e mio marito salutando felici e ignari i loro genitori. Celebrazione nella Chiesa di San Pio X . Pranzo, riposino e passeggiata lungo il Corso. Un giocoliere  attrae la nostra attenzione e partecipiamo ai suoi giochi …c’è tanta gente che si diverte. Rientro a casa, il giorno dopo è lavorativo per mio figlio e scuola per i miei nipoti, mia nuora ha una lezione all’università.  La sua seconda laurea la impegna molto, ma, ringraziando Iddio, abbiamo le case sullo stesso piano e possiamo aiutarci senza stress.

  VOLTARE PAGINA   ( MANUEL Romano )

Racconto la mia storia, una storia come quella di tanti i persone e tanti  ragazzi, per fortuna più a lieto fine rispetto ad altri  miei amici o conoscenti.

Erano le 3 e 32 del 6 aprile 2009 quando tutto incominciò

Ero a letto.  Alle 3 e 32 mi sono svegliato:  la casa  tremava, scricchiolava. Sono sceso subito dal letto appena si è calmata un po’ la situazione, mentre cercavo di mettermi sotto una colonna portante;  lì  mi sono riunito con i miei genitori. Cadevano pezzi di muro o  intonaco;  eravamo scalzi tutti e tre,   tutto era per terra, vetri ovunque.

 

 

Tutto è compiuto ( Francesca Luzi)

Tutto è compiuto.Il mio mondo sembra abbia appena smesso di scuoterci violentemente. Mi chiedo perché l’ha fatto e perché siamo ancora vivi. Sono lucidamente convinta che la nostra vita, almeno quella di sempre sia appena terminata, mentre Marco è ancora in bagno che cerca di sollevare il mobile alto rovesciato sulla scarpiera per riuscire ad aprirla e mettersi qualcosa ai piedi.

 

ED E’ TUTTORA COSI’   ( ROSA MINERVINI)

Erano tre mesi che si conviveva con le scosse.

Mio figlio ed io avevamo cominciato a dormire in tuta, con le scarpe e il giaccone a portata di mano e non sapevo di altra gente che da tempo dormiva in macchina o passava le nottate, in giro, per Piazza Duomo. Questo modo di vivere mi turbava, ma rimuovevo sistematicamente questo pensiero.

Ora mi rendo conto che la cosa era alquanto strana: si viveva, da tre mesi, in questa città, esorcizzando il pericolo imminente.

 

SEZIONE N 6 VOCI

Con amore infinito ( Vincenzo Vittorini)
Un mostro che divora tutto.  Una tragedia annunciata. Non un boato, ma un urlo terrificante. Poi, un silenzio assordante. Il buio, nero come la pece. Poi, le grida di dolore.

Provi un terrore mai provato. Non sai che ore sono: è giorno? è notte? C’è solo il buio pesto. Io,Claudia e Fabrizia siamo schiacciati da tonnellate di macerie che erano la nostra casa, il nostro rifugio, dove credevi che la tua famiglia fosse al sicuro da tutto e tutti. Gridi,ti muovi come un animale in gabbia,cerchi di uscire … ed  invece vai giù,sempre più giù.

 

 

 

 

 

 

L’Intervallo della vita ( Pamela Fiorenza)

 

Eravamo tornate a casa verso le undici. Avevo intenzione di svegliarmi presto, per scrivere la tesi. Appena entrata nel letto una scossa forte mi ha fatto tirar via le coperte. Sussultoria o ondulatoria? Quando trema, trema in ogni direzione. Sono arrivata in corridoio e ho acceso la luce. Mia sorella era lì, sulla scaletta e respirava male. Ci siamo guardate un attimo. Papà non è uscito dalla camera. Mamma era a Roma.
Mia sorella ha detto Che facciamo. Ho detto Dài, andiamo a letto. Ha detto Ma ho paura. Ho detto Ma paura di cosa? Poi ho detto Vieni a dormire di là con me. Ha detto No torno in camera.
MI FERMO QUI ( Annunziata Grancuore)
Quando tutto è cominciato, il primo istinto è stato quello di proteggere mio figlio con il mio corpo , aspettando che passasse.
Ma non finiva, e la terra non smetteva di tremare : tra suppellettili e calcinacci che cadevano, siamo riusciti ad uscire a prendere l’automobile per  allontanarci.
Il tempo di due telefonate: ai miei per darci un punto d’incontro, ed ai miei gemelli (solo dopo scoprirò che avevano perso la zia in quella maledetta notte) per assicurarmi che il padre li abbia portati fuori al sicuro e il cellulare mi abbandona.
Siamo spaventati ma comunque vivi

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Anime salve” ( Roberta Marinucci)

Sono a letto che leggo,  mentre mio marito dorme. C’è già stata una scossa forte verso le 11 ma ho imparato a conviverci, come tutti. Sto leggendo un libro di storia locale sui terremoti dell’Aquila e arriva un’altra scossa verso l’una. Questa però è più forte. È da tempo che si vive in questo stato di ansia. Lo sciame sismico avrebbe preceduto la scossa forte e distruttiva : in passato era  già accaduto. Però  mi sentivo fatalista , mi rassicuravo pensando  che la mia casa, di recente costruzione, forse avrebbe retto. Chiamo per la seconda volta al cellulare mia figlia che  ancora non rientra.  Le dico di tornare a casa senza prendere l’ascensore.
Finalmente riesco ad addormentarmi con il solito senso di precarietà/fatalità delle altre. Notti.

 

 

 

Voci ( Anna Guerrieri)

 

 

Voci di famiglia nel calore della cena. Il lavoro, la scuola, il rumore delle posate nei piatti. Voci usuali e affettuose, voci che ridono e discutono. Voci fatte di luce. Scivolano sulle pareti della stanza e le disegnano, delimitano. Le voci sono i confini dell’intimità. Le nostre voci pudiche. Le voci di chi sta andando verso la notte e le necessità della famiglia, verso i doveri del giorno dopo. Voci che si fermano ad ascoltare i bisogni dei figli. Le voci di sempre.

 

QUI IO TI AMO ( LUCA VESPASIANO)

“Qui io ti amo”. Non l’ho mai detto a nessuno. E siccome stavo per morire, lo dissi al buio e al mondo. Non ho sentito la mia voce, ero come paralizzato.

Mi hanno sempre infastidito le memorabili ultime battute dei film o delle tragedie di Shakespeare. Mentre muori, pensavo, non ti metti di certo a fare il poeta, muori e basta, con la rabbia o la desolazione, con l’orrore e la paura tra i denti. Puoi al massimo aggrapparti a quell’ultimo brandello di fede se qualche Dio te l’ha data. Alla storia delle morti gloriose non ho mai creduto: la morte è uno schifo, e quando muori ci sei dentro fino al collo.

 

I nomi dei gigli ( Giustino Parisse)

L’ultimo sms della mia vita lo avevo inviato dieci minuti prima dell’una. Il sei aprile del 2009 era da poco spuntato sul calendario. Un messaggio breve, poche righe <Pentiti, sta arrivando la fine del mondo>. Lo lesse un collega giornalista, già mobilitato, nella notte, dai ruggiti della terra che tormentavano le ore e i giorni dei paesi adagiati nella valle dell’Aquila . Fu quasi un ghigno, l’ultimo cinico ghigno di un tempo che stava per fermarsi. Per sempre.

 

 

Sezione 7 Gli intrusi

L’intrusa ( Bianca Mollicone)

Non sono nata all’Aquila, non ho studiato, non abito e non appartengo all’Aquila. Sono un’intrusa nella Banca della Memoria. Eppure l’Aquila mi appartiene da sessanta anni, da quando ne ho memoria.

Come tutte le genti della dorsale appenninica, però,  sono nata e cresciuta su terre di faglie attive…

Su una delle faglie della Valle Roveto,  sono nata ; 33 anni esatti dopo il terremoto che aveva colpito anche la mia zona,  il 13 gennaio  del 1915.

Casamé     (Alessandro Cappa)

Nella scorsa data del 5 aprile 2009 alle ore 24:00 circa, tramite Sky tg24,  appresi che in località Forlì c’era stata  una scossa di terremoto. Immediatamente chiamai un mio collega nonché amico per capire bene cosa fosse accaduto:  in considerazione del fatto che dal Natale del 2008 c’erano continue scosse, nella mia terra, a casamé, all’Aquila.

Nella  notte ebbi un sonno molto leggero ed inquieto:  temevo che potesse accadere qualcosa, troppe scosse e troppo ravvicinate per poter stare sempre tranquilli

 

In vacanza,  a Camarda ( Enzo Alloggia)

Io e mia moglie Maria siamo   tornati subito  in Svizzera “sani e salvi”,  da Camarda, dove eravamo arrivati  proprio Domenica 5 Aprile,  nel pomeriggio. Camarda si trova a 14 Km dall’Aquila ed è stata distrutta dal terremoto del 6 Aprile delle ore 3.32,  per il 70-80%.

Ringrazio gli amici che mi hanno chiamato sul telefonino sin dalle prime ore dopo il sisma di Lunedì; la nostra casa ha tenuto (per nostra fortuna) anche se ci sono crepe che ci entra la mano.

 

 

 

MI chiama  AQ ( Jessica Zarivi)
Mi trovavo a Milano, per ragioni di studio. Ero sveglia: saranno state le 6 del mattino.  Squilla il telefono.  Il numero che compare è quello di casa dei miei  genitori.  Strano . Ma prima  di arrivare a conclusioni affrettate, ho risposto immediatamente : “ Pronto! Come mai mi chiami a quest’ora? Avevi bisogno di qualcosa ?” Dopo un silenzio agghiacciante,  mio fratello mi dice :   “ Jè… Senti…qua c’è stato il terremoto…”

Non mi sono allarmata, era solito scherzare quando mi chiamava, ma su una cosa del genere.. bah! “Ma che dici?” “Guarda che è stato proprio forte..”

 

Una promessa per L’Aquila. ( Kristian Pelà)

Senza dimenticare tutto quello che era già’ successo in Italia e nel Mondo, ed ha continuato a succedere anche dopo …

Il terremoto dell’Aquila mi colpì’ in particolar modo per la distruzione e l’annientamento di una Città in pochi istanti.  Da qualche tempo,  con un mio amico avevamo in progetto di fondare una Associazione di Protezione Civile e mai come in quel giorno avrei voluto averlo  già  fatto , per poter aiutare tutte quelle persone in difficoltà.

. Quando mi arrivò la notizia erano le 6,30 del mattino.

Gli ospiti inattesi ( Antonietta Soldati)

Mi chiamo  Antonietta Soldati e sono nata a l’Aquila,  ma vivo da sempre a
Roma. Il legame con la mia terra di origine e’ sempre stato molto forte; ora  e’
diventato indissolubile. La mia mente mi dice:  rimuovi e dimentica.. ma il mio cuore mi “comanda” di ricordare. Le mie radici sono troppo profonde.Fin da bambina tornavo, ogni estate,  a passare  le vacanze presso la mia  “vecchia” casa,  in un paesino che si chiama Colle di Lucoli, vicino a Roio,  dove  purtroppo più volte e’ stato registrato l’epicentro del terremoto.

 

 

 

 

Metti una notte a Roma ( Adriano Di Barba)
Da  qualche mese trafficavo su FaceBook, per ingannare il tempo  di serate televisive noiose e per ricercare amici e persone che avevo perso di vista, durante una vita da girovago.
Mancavo dall’Aquila da 40 anni, senza considerare qualche sporadica gitarella fatta per accompagnarci in visita qualche amico venuto a trovarmi a Roma, e  una piccola vacanza, piacevolmente indimenticabile, con la mia famiglia, anni addietro.
Tutti, amici e famigliari, ogni volta  a meravigliarsi,  increduli che esistesse un posto così, tanto vicino a Roma, così  poco conosciuto …

 

“ Non accendere il televisore” ( Davide Simone)

Il tepore avvolgente delle federe ad accarezzarmi la pelle, l’abbraccio della trapunta ad avvolgermi le gambe, il soffice sostegno del cuscino, la quiete consueta della mia sfera domestica a cullare i miei sogni; questa, per me, è stata la scossa. Questo, per me, è stato l’inferno nel suo vigliacco manifestarsi, è stato l’urlo, è stato lo schiaffo del destino con la sua mano di pietra, di terra, di fango e di ferro. Si, perché io non c’ero. Io sono un “intruso”, un aquilano di Secinaro trasferitosi da bambino e che quel giorno avrebbe dovuto esserci, per le feste, ma che non c’era.

IL SALUTO DEL SILENZIO ( Thomas Pistoia)

Quella notte,  quando tv e internet cominciarono a dare la notizia ero ancora in piedi. Non compresi subito la gravità dell’accaduto.Pensai al classico evento udito solo da quelli che abitano ai piani alti, al campanare di qualche lampadario, all’ululato dei cani nei palazzi…Poi cominciarono ad arrivare le prime immagini e compresi la catastrofe.E cosa provai ?

Cosa provai…

Non prendiamoci in giro. Per provare qualcosa, per capire davvero… devi vivere lì.

Perchè il resto d’Italia vede tutto in tv e riflette quel tanto che basta.

IL POETA CON LE SCARPE ROSSE

©Il poeta dalle scarpe rosse

 

 

L’Aquila, Ridotto del Teatro comunale: la folla delle buone occasioni, premio Città dell’Aquila-Carispaq intitolato alla scrittrice  Laudomia Bonanni ;  quest’anno ospite d’onore è  lo scrittore Tahar Ben Jelloun. Serata conclusiva: tra i tanti nomi illustri  nella giuria: Maria Luisa Spaziani, Sergio Zavoli, Renato Minore, Giorgio Barberi Squarotti…

Lo scrittore comincia a parlare dei suoi libri, dell’Islam, della sua storia, della Primavera araba. Domande  tante,  e si susseguono. Ne riporto,  ovviamente,  solo alcune. Seduta in fondo alla sala, ascolto con  attenzione, tentando di trascrivere e di ricordare. Prendo sempre appunti quando qualcosa o qualcuno mi interessa. Scrivo. Prima o poi mi servirà. ( Il resoconto della serata  è restato,  per mesi,  prigioniero della mia piccola agendina rossa. Adesso, per ragioni tutte sue, forse cromatiche, è riemerso e ve ne faccio dono.)

“Ciò che ti lega alle tue origini è un albero”: leggo e rileggo questo bellissimo verso del poeta. Mi appartiene, l’ho già fatto mio.

Gli domandano dal  palco : “Come convivono le sue  due radici arabe e  francesi?”

Risponde sorridendo: “Si, a volte c’è un   litigio, ma a volte anche  il litigio può essere  fecondo.” Ad una domanda sull’Islam,  risponde  sintetizzando: “ La religione deve essere nel cuore e nelle moschee e nelle chiese, non nella politica.”

Le domande incalzano. “Pur essendo sostanzialmente noto come scrittore di prosa,  racconti e romanzi,  continua a scrivere poesie. Perché?”

Ricordo velocemente qualcuno dei suoi molti titoli: Creatura di sabbia, Il razzismo spiegato a mia figlia, l’Islam spiegato ai nostri figli, Le pareti della solitudine, L’ultimo amico, Stelle Velate, Il corrotto…

“E’ importante. Si può essere scrittore anche  per dare la propria opinione, ma la poesia è qualcosa di più,  che resta … La poesia ci fa ricordare il poeta… la  Poesia, è come una   essenza, un aroma  particolare  nella scrittura. Io non mi definisco un poeta: deve essere il lettore  a definire, che cosa sia poesia e  chi sia poeta. Ringrazio sempre il mio lettore   se mi  dice :  “ questa non è poesia’’;  lo ringrazio comunque,  già soltanto per aver letto ciò che ho scritto. La poesia è come la matematica. E’  precisa, rigorosa ed ha un ordine ben definito: in più  ha il compito di regalare anche un’emozione. Il verso che riesce a dare un emozione, quello per me è poesia. Si scelgono delle parole fino a giungere ad una musica che ci fa dimenticare anche il  dolore.”

 

Aggiunge, con tono pacato e cordiale, mentre il traduttore cerca con fatica di rielaborare: “Ho avuto la fortuna di non dubitare mai della mia identità … Ho frequentato subito una scuola francese. I miei genitori mi hanno insegnato a non perdere mai l’umiltà: amo sia imparare che insegnare”.

Alla domanda su quale siano i suoi autori, italiani o stranieri,  di riferimento, risponde: “ Jan Janet: gli scrittori più grandi sono sempre i più modesti. Tra gli italiani: Calvino, Morante, Eco:  quelli che hanno “parlato’’ della realtà. La letteratura non cambia il mondo, non lo può cambiare, ma il silenzio è insopportabile.”

Qualcuno chiede quale sia il suo rapporto con l’Italia: “L’Italia è un paese complicato: amo la sua ospitalità,  la generosità è il grande senso dell’amicizia; ho anche convertito tutta la mia famiglia a questo amore”

Una pausa,  lunga: “Questa mattina ho visitato il centro storico della vostra città, mi ha riportato alla mente il terremoto di Agadir nel 1961.”

A questo punto il poeta scrittore si alza dalla poltrona e si dirige verso un leggìo: estrae dalla tasca un foglio piegato in quattro; è quello di un quaderno a quadretti;  si vede bene, anche da lontano: “ Una poesia appena scritta,  davanti alle rovine del centro storico, stamane. Mi è sembrato di trovarmi come in un set cinematografico; camminare in una città interrotta,  vedere una vita interrotta. Durante questa breve visita,   le persone che ho incontrato mi hanno fatto vedere la speranza e la voglia di ricostruire.”. mi emoziono anche io: sono le stesse parole che vado dicendo e  scrivendo da quattro anni, ormai.

Comincia a leggere: riesco con difficoltà a trascrivere qualche frammento della poesia : “ancora vivi… L’Aquila una futura sposa della morte…città fantasma… vita sospesa…Qui c’è qualcosa che assomiglia all’eternità… una città sostenuta da bastoni di ferro …”

Il poeta ha addosso una sciarpa bianca e un bel paio di scarpe rosse, inusuali per un uomo occidentale. A chi glielo fa notare , risponde: “ Le scarpe rosse ci rendono ancora vivi,  anche in un contesto come questo.” E aggiunge, rivolgendosi direttamente al pubblico: “Ogni poesia è una vendetta sulla brutalità degli uomini e della storia. Scrivere non cambia nulla al tempo che soffre. Ma per questo bisogna scrivere e pensare che la poesia salverà il mondo. Per questo  continuerò a scrivere poesia,   e continuerò ad andare contro le montagne che ogni giorno  minacciano di ingoiarci.”

Chissà se quella poesia sull’Aquila entrerà a far parte di uno dei suoi prossimi libri. Io me lo auguro. Si può passare alla Storia in tanti modi. Restare in una poesia di Tahar Ben Jelloun , è sicuramente uno dei migliori.

 

©Patrizia Tocci

,L ‘Aquila ottobre 2012 ( alla destra..Patrizia Tocci, emozionata.. mentre regala al poeta il libro La città che voleva volare))

Scarabei per l’Aquila

Lasciamo la macchina a  Fontesecco. Si intuiva una fila colossale verso Via XX settembre, meglio fare qualche passo a piedi, freddo sì..ma è ancora   una bella giornata,  piena di sole… Passiamo sotto il ponte ,  c’è una via che si chiama “ Gradinata degli scarabei”. Non lo sapevo o non lo ricordavo. Gli scarabei si dice,  portino fortuna… ne abbiamo sicuramente bisogno…Prendo l’impettata, coraggiosamente…Un po’ di fretta, come se avessimo un appuntamento speciale… E infatti è così. È un Aquila viva, vera..quella che subito si dispiega.  Bancarelle  poco illuminate, ma tanta gente che si ferma lungo il Corso per salutarsi… visi e facce che facevano parte integrante della famosa passeggiata diuturna sotto i portici..carrozzine e passeggini, strilli e pianti  di bimbi…” “Amò..spostati,  che non ci passa…” “ bella , frà… quanto l’hai pagato?” “ sì , la prossima estate saremo a casa” “ che te posso dì..ancora gnente…” . Brandelli di conversazione che catturo qua e là, in mezzo ai bonghi, al fracasso delle voci potenti dei venditori che cercano di richiamare l’attenzione.  Guadagniamo con fatica la piazza…  Una coppia litiga: “ ti ricordi l’altra volta, che abbiamo comprato quella scopa…che affare…proprio un affare”. Nell’allegra babele di lingue e persone, una musica dolcissima: The sound of silence, suonata con un flauto andino, da un tizio che ha le piume in capo, come Manitù. Bella la piazza: la musica la sovrasta, la riempie. Ipnotizzata , guardo le persone sedute sui bordi della fontana, come una volta:  famigliole che proseguono mano per mano… Mi dimentico anch’io , nella gazzarra. Contribuisco, compro qualcosa… Il fiume di gente risale il Corso, arriviamo volentieri fino alla fontana Luminosa… e poi  torniamo indietro…come facevamo, allora, prima.

A pochi passi ci sarebbe stata la casa, saremmo entrati in quel calduccio con le mani intirizzite: e avremmo comprato  anche noi quello spazzolone eccezionale, quel maglione a pochi euro, quella finta borsa vera…Un piccolo regalo, come sempre, l’uno per l’altro.   “Come si chiama questa via?”mi chiede un turista che deve incontrarsi con qualcuno.. Non me lo ricordo nemmeno io,  non è via Roma…Boh..Proseguiamo nella discesa..e poi la via mi torna in mente..Via Andrea Bafile..ma ormai il turista s’è perso nella luce, verso il Corso, ai Quattro cantoni. Noi affrontiamo il buio di Fontesecco. A braccetto.  Piano piano, quasi in silenzio. E’ da quel buio, da quei pochi lampioni che galleggiano nell’inchiostro della notte , che viene il nostro cocciuto filo di speranza…Riprendiamo la macchina, per tornare…dove dimoriamo, adesso. Abbiamo già tolto le lucette, le inoffensive lucette di natale : L’epifania tutte le feste se le porta via. Forse è un bene. Domani finisce il tempo sacro, festivo. Ricomincia il tempo laico e quotidiano. Quello delle cose da fare, degli impegni  e delle promesse da mantenere. Il tempo della ricostruzione …

 

Patrizia Tocci©               Foto di Fabio Uliano