Viaggio in autobus, in primavera.

Terra d’Abruzzi: Viaggio in autobus.

Risplendono da lontano, nelle scanalature più chiare dove a Maggio resta ancora una lingua di neve ghiacciata. Offrono un riferimento familiare al viaggiatore . Prima di fronte, poi di lato, poi arrivano alle spalle. Piccoli paesi arroccati sui cocuzzoli : hanno i colori della terra e della neve, si inseriscono bene nel paesaggio grazie alla sabbia, alla pietra, alla malta, al tufo. Campi coltivati o in abbandono, casali vivi o con finestre murate, alberi modellati dal vento. In poche ore, dal mare alla montagna. E le montagne sono altissime, lassù, le due basiliche dell’ Abruzzo , il Gran Sasso e la Maiella che hanno affascinato sempre i viaggiatori e gli scrittori. Chiese di pietra a cui ogni tanto, rivolgere un pensiero. invece la maggior parte degli occhi sono chinati sui display: eppure bisognerebbe approfittare del tempo del viaggio. Cespi di ginestre o greggi di pecore gialle che brucano. Frazioni tagliate a metà della strada principale: invase dalle macchine o dai camion. L’ autista si destreggia con abilità in queste trascurate periferie italiane, a mezza strada tra l’ incuria e il caos, dove si scontrano case coloniche e palazzi ultramoderni, strade comunali e provinciali, bianche o asfaltate, piccole stazioni che potrebbero raccontare anni di storia. Grazie alla posizione alta dell’ autobus, sembra di assistere alla proiezione di un film. Il paesaggio ti entra dentro, ti rasserena. Con tutti i colori di un Maggio fresco, umido. Peccato non si possano sentire i profumi delle ginestre o del maggiociondolo. Ogni tanto qualcuno sale, in queste strane fermate intermedie. Penso al periodo in cui, prima di partire, si faceva testamento. Oggi masse incredibili si spostano continuamente. Ma le vite che sopravvivono in queste fermate intermedie, quelle sono la vera dorsale operosa della nostra storia. Raccontano la nostra origine e la nostra cultura. Le sfioriamo, con un po’ di nostalgia.
Patrizia Tocci

Dentro il giardino dei libri perduti

Il giardino dei libri perduti ( racconto breve )
Una storia vera.

L’ ambiente è di quelli magici, per me. Una specie di grande magazzino dell’ usato. Non posso entrare in questi luoghi, mi si parano immediatamente davanti tutte le storie infilate, inzeppate dentro gli oggetti che sono appartenuti ad altri e che conservano comunque, sulle superfici un po’ lise le storie, giorni, odi e gli amori. Infatti mi innamoro di un piccolo cofanetto attorno al quale qualcuno ha incollato con cura un merletto sbiadito ; della piccola poltrona di velluto rosso fuori moda e scomoda, che sicuramente avrà accolto pensieri timidi e scarpe con mezzi tacchi, come si portavano un tempo.
Qualcuno ci si sarà seduto con sussiego su quella poltroncina, per una visita di cortesia o di circostanza. Passo in rassegna rapida tutti quei soprammobili inutili di cui non riusciamo mai a disfarci davvero, che accumuliamo e spolveriamo con inutile cura. Pezzi di una Italia sana, onesta, contadina. Messi lì a raccontare il viaggio di nozze, la bomboniera della comunione, la prima laurea del primo figlio laureato. Tutte cose inutili che però connotano un’ epoca, hanno uno stile e ci fanno risalire indietro con la memoria. Ho girovagato un po’ con il cofanetto tra le mani . Potevo non prendere questi due orecchini dalla foggia antica? Stanno bene , dentro il cofanetto, sembrano fatti l’ uno per l’ altro.
Mi dirigo subito nel reparto dei libri. Libri dal dorso un po’ rovinato, dalle pagine leggermente gonfie e già toccate dal tempo e dall’ umidità, libri con costole perfette in brossura, immacolati, a far da sfondo o a dare un tono di colore in qualche ambiente presuntuoso. Tra libri piccoli, una vecchia edizione del libro Cuore, qualche spaginata versione di greco antico, un Aristotele, una raccolta di poesie di Ada Negri e poi…Un tuffo al cuore. Anche il mio piccolo libro, la raccolta di poesie Pietra serena, dal formato pocket , edita nel 2000 da Tabula fati.
Il libro è ben conservato, sembra nuovo. Una strana sensazione, mista di rabbia e di orgoglio si impossessa di me. Come osano relegare il mio libro tra L’ usato, ora gliene dico quattro al mister che sta dietro al bancone. Ma è improbabile anche il bancone, forse resto di qualche birreria fallita, il mister ancora di più. Poi, in fondo, io sono timida, lo penso ma non lo faccio e continuo ad aggirarmi negli inferi dei souvenir. Ma le mani hanno già prelevato il libricino aggiungendolo ai due orecchini e al cofanetto portagioie, con il merletto fatto a mano. Esco di fretta. Ma appena fuori il girone del dimenticatoio, prendo subito il libro, stacco la nuova targhetta del prezzo e lo apro. Sembra intonso ma comincio a vedere qualche segno a matita, vergato con leggerezza accanto ai titoli delle poesie. Poi, parole di apprezzamento accanto ad alcuni versi “ bello, molto bello, perfetto.” “ questo è sublime” “ mi sembra meraviglioso” “davvero bello.” “ “Proprio così. “
Tutte queste frasi scritte a matita, vergate con una bella grafia che non restano incise sulla pagina. Sono lievi , delicate. A casa, non riesco a togliermi questo pensiero dalla testa . Riapro il libro per capire meglio. Lo sconosciuto o la sconosciuta deve conoscere bene la poesia. Ha segnato le stesse frasi che avrei segnato io, ha messo un asterisco a quelle che mi piacciono di più.
Sarà un lui o una lei. Vecchio o giovane. Dalla grafia sembra una persona anziana. Che so, una ex professoressa di italiano in pensione che ha voluto disfarsi del libro perché…Perché? Potrebbe aver cambiato casa e nella nuova casa non c’è posto per me. Eppure un libricino così piccolo, possibile che non avrebbe voluto conservarlo ? Io gli avrei trovato posto anche in bilico, in doppia o tripla fila su qualcuno di miei scaffali ma non l’avrei venduto …e poi per un guadagno così ridicolo. Niente, l’indignazione non accenna a scemare. Penso alla vita degli scrittori. A quanta fatica gioia e dolore in me suscitavano quei versi, quelle parole. E poi finiscono …dove finiscono ? Ma in fondo erano piaciuti anche a lei, però. Intanto ho deciso che è una lei. Deve aver avuto schiere di studenti, formato generazioni di avere con la acca e scienza con la i. Chissà se porta gli occhiali. Dovrebbe avere dita forti e curate. Una pelle alla nivea, curata senza troppe pretese, una donna che ha fatto tanta fatica per imporsi in una famiglia maschilista. Fiera di portare a casa il suo stipendio, dignitosa nel vestire e nel camminare. Con capelli bianchi o appena grigi. Un bel grigio perla, penso. Magari ha una collana di perle corta, di quelle girocollo, con la montatura preziosa ed è un regalo di matrimonio di tanti anni fa. Come questi orecchini. Magari vive da sola.

Poi mi si fa strada un brutto pensiero nella mente.
Forse questa bella signora anziana non c’è più. E gli eredi si sono divise le vesti. A qualcuno sarà toccata la libreria del salotto.
. “Tutti sti libri vecchi, ncartapecoriti” “ tutta robaccia che non vale n’euro”.
La mia indignazione di autrice ha lasciato posto a un altro pensiero. E magari in quella casa, al posto della libreria avranno messo un mega schermo acquistato a rate, tanto lo paghi il prossimo anno. E della anziana signora forse resta una foto in qualche cornice, su un mobile. Riprendo il libricino, lo apro e rileggo tutte le poesie segnate. Hai scelto le più belle, amica.
Allora ti metto in prima fila tra i miei libri, vecchi e nuovi, nel palchetto di quelli che voglio tenere sempre a portata di mano. Per rileggere un verso, una storia bella. Per confrontarmi con quel mondo incredibile, immenso che sta dentro i libri di Proust, in una pagina di Macondo, nella memoria di Adriano. In quel palchetto metto libri che mi piacciono assai, perché quando sono inquieta ne prendo uno a caso e c’è sempre quella frase scritta per me , quella che solo io conosco, come dice Erri De Luca. Quella che ho già segnato a matita, leggermente, oppure sottolineato con l’ unghia, con uno sfregio di penna . Quella evidenziata con una penna rossa, mentre facevo altro, probabilmente. Quella che ho sottolineato con la matita per le labbra, e chissà dove ero per non avere una penna ad inchiostro o una matita con me. Quella che è raccontata da un post-it ballerino dai colori fluorescenti che magari svetta in mezzo alle Confessioni di Agostino. Il segnalibro che mi hanno portato dal Portogallo che ingombra proprio l’inizio di Fontamara. Le mappe di viaggio in mezzo ai libri di Paolo Rumiz. E tra le poesie di Pavese, ci sono le foglie raccolte in un bosco di cui non posso dire di più. Eccoti , amica mia, in questo palchetto, come ospite d’onore. Accanto ai bellissimi libri blu, ai giganti dalle costole dorate della letteratura universale. Ecco, qui sei in buona compagnia, amica mia. E puoi leggere I libri più belli del mondo. Hanno pagine sottili sottili, però. Sopra non puoi scriverci nulla. Ma è così bello sapere che puoi guardare anche Borges e Woolf, affacciarti tra le poesie di Dickinson e Montale, viaggiare nei racconti di Kafka . Qui non puoi perderti mai : sei ormai da me, nel tempo ritrovato.
©️Patrizia Tocci

Il romanzo Fontamara trascritto su una parte del borgo di Aielli ( aq) da un gruppo di writers coordinati da Alleg

Ricordi di scuola

Una delle più belle e originali dichiarazioni d’ amore che io conosca è stata fatta grazie al telegrafo, in un piccolo paese di montagna. Sembra uno di quei copioni teatrali dal sapore perduto: il maestro della scuola elementare manda un messaggio d’ amore attraverso il telegrafo con richiesta di nozze all’operatrice del locale ufficio delle poste. Fu artefice di questo romantico gesto ( così mi racconta Dante Capaldi, una vita anche la sua trascorsa nella scuola) il mio primo maestro delle elementari: si chiamava Avelio. Da mocciosi ci trasformò in ragazzi e ragazze. Era facile all’ ira, soprattutto con i più indisciplinati; ma anche alla dolcezza. I segnacci rossi che lasciava sui nostri compiti sembravano tanti pioli su cui bisognava salire. Facevamo colazione e ricreazione nel giardino della scuola, una masnada di bambini: qualche scapaccione affettuoso per riportare l’ordine in una pluriclasse mista, dalla prima alla quinta. Anche I miei ricordi sfilano a volte con il nitore ordinato di un abbecedario : la cartella marrone, il sussidiario, il mappamondo rotondo, le cartine alle pareti altissime, la stufa enorme e quel freddo di una piccola scuola di montagna. Ho ritrovato il maestro Avelio molti anni dopo e non fu facile riassumere in poche parole tanti anni, né per lui né per me. Un maestro è qualcuno che ha avuto fiducia in te, ti ha aiutato a crescere: questo fanno, i buoni maestri, gli educatori. Sorvegliano, suscitano, intuiscono la potenzialità nascosta in ogni scolaro. Da insegnante mi capita di incontrare quegli sguardi, ogni mattina, anche quando cercano di nascondersi dietro gli zaini, dietro la frangia dei capelli o cercano di difendersi con un’aria annoiata. Gli amori e gli odi, le domande e le risposte sono le stesse. Si cerca di crescere, insieme . Così sembra, quasi, di non invecchiare mai. Dal primo maestro, agli altri che ho incontrato nel mio percorso. E che vorrei ringraziare così.
©️Patrizia Tocci pubblicato su #ilcentro
#carboncino #montagnabruzzese #scuola

Natalia Ginzburg, una Corsara in Abruzzo ( In terra d’Abruzzi )

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Neve di primavera di @ Edda ecle ragone

Neve di primavera di @ Edda ecle ragone

In terra d’ Abruzzi, per la seconda mia rubrica che ospita Il Centro, vi parlo del bel libro che @sandra petrignani ha dedicato a Natalia Ginzburg ed in particolare anche agli anni trascorsi al confino insieme al marito Leone Ginzburg.
Su un sentiero pieno di neve, c’è la scrittrice Natalia Levi in Ginzburg, mentre trascorre a Pizzoli, nell’ Abruzzo aquilano, gli anni del confino con suo marito, Leone. La scrittrice ne Le piccole virtù racconta : “ in Abruzzo non c’è che due stagioni: l’ estate e l’ inverno. La primavera è nevosa, ventosa come l’ inverno e l’autunno è caldo, limpido come l’ estate; quando la prima neve cominciava a cadere, una lenta tristezza si impadroniva di noi.” Scelse come pseudonimo Alessandra Tornimparte ( Tornimparte è un altro comune del circondario aquilano). Nel 1964, raccogliendo alcuni racconti per Einaudi, la scrittrice ci rivela nella prefazione date e località. La strada che va in città, scritto a Pizzoli, dal settembre al novembre 1941, risveglia ricordi: “ i miei personaggi erano la gente del paese, che vedevo dalle finestre e incontravo sui sentieri”; “ la strada che tagliava in mezzo il paese, fino alla città di Aquila, era venuta anche lei dentro la mia storia”. Altro racconto ambientato a Pizzoli è Mio marito ( 1941); la casa in cui vivevano dava sulla piazza, dove c’era la fontanella, le donne con gli scialli neri. C’è ancora la stanza con l’ aquila dipinta sul soffitto: la stessa che aveva visto Natalia. Questa ed altre Informazioni ci offre Sandra Petrignani, nel suo recente libro La Corsara, ritratto di Natalia Ginzburg in cui ricostruisce la vita di Natalia, dei luoghi abitati e frequentati dalla scrittrice, intervista testimoni: illumina periodi bui con dettagli e ricostruzioni filologiche, citazioni dai libri e ci rende contemporanea Natalia, come se camminasse ancora con noi.Così diventano, per noi abruzzesi, una miniera le pagine dedicate al confino di Pizzoli. Resta sempre qualcosa di magico nei luoghi in cui hanno abitato gli scrittori e gli artisti. Sarebbe importante averne cura, farne memoria: non solo attraverso la pagina scritta ma anche salvando, per tutti, le tracce del loro passaggio.

#interradabruzzi
#ilcentro Sandra Petrignani #nataliaginzburg #patriziatocci

In terra d’Abruzzi ( rubrica Il Centro)

Sotto il nome di “Aprutium” che forse vuol dire scosceso, c’è la nostra terra: , divisa in Abruzzo Citeriore e Ulteriore, accorpata con il Molise, ridivisa e quasi pronta per essere inserita in una macro-regione. Inseguiremo scrittori, viaggiatori, pittori, poeti: tra la montagna e il mare, nei reticoli delle città, nei piccoli paesi dell’ entroterra; abitudini, costumi, colori, profumi, cibi antichi e parole dimenticate saranno le nostre guide. Su un sentiero pieno di neve, c’è la scrittrice Natalia Levi in Ginzburg, mentre trascorre a Pizzoli, nell’ Abruzzo aquilano, il periodo del confino con suo marito, Leone. La scrittrice ne Le piccole virtù racconta: “ in Abruzzo non c’è che due stagioni: l’ estate e l’ inverno. La primavera è nevosa e ventosa come l’ inverno e l’autunno è caldo e limpido come l’ estate; quando la prima neve cominciava a cadere, una lenta tristezza si impadroniva di noi.” Il racconto venne pubblicato nel 1941 con lo pseudonimo di Alessandra Tornimparte ( Tornimparte è un altro comune del circondario aquilano). Nel 1964 i sei romanzi furono raccolti in un volume, per Einaudi; nella prefazione, la scrittrice ci svela date, località. La strada che va in città, scritto a Pizzoli, dal settembre al novembre 1941, risveglia i suoi ricordi: “ i miei personaggi erano la gente del paese, che vedevo dalle finestre e incontravo sui sentieri”; “ la strada che tagliava in mezzo il paese, fino alla città di Aquila, era venuta anche lei dentro la mia storia”. Un altro racconto ambientato ancora a Pizzoli, è Mio marito ( 1941); la casa in cui vivevano che dava sulla piazza, , la fontanella, le donne con gli scialli neri: ci sono, ancora. Così la biblioteca comunale, intitolata a Leone e Natalia: i figli e gli eredi si sono recati nel piccolo comune abruzzese, lasciando in dono libri e ricordi. Tra passato e presente, dentro la nostra bella terra d’ Abruzzi. In cerca dei luoghi che resistono.
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