Un altro Mondo: L’Aquila

Un altro mondo

Non chiedere mai un indirizzo, all’Aquila. Potrebbe andare ancora bene se ti rispondono cortesemente dandoti una indicazione del tipo: “ sì, stava vicino l’ex mattatoio, vicino l’ex caserma dove però adesso ci hanno fatto le case…cioè i map.”

Non chiedere mai una strada all’Aquila. Potrebbero risponderti : “Aspetta, mi ricordo che stava vicino all’Ex Coop, no no…di fronte al nuovo negozio di X, quello che ha riaperto sotto le mura…”

Non chiedere mai un numero di telefono all’Aquila. L’elenco telefonico si è prosciugato e  si è ridotto di volume. E l’elenco dei cellulari è quello privato, che non condividiamo e che nessuno sa.

Non chiedere notizie di qualcuno, se incontri qualcun altro. Potrebbe risponderti così: “ l’ho vista all’Aquilone un anno fa, no aspetta..forse di più…sta  nelle case di berluscò-“ e qui giù un’altra lista di indicazioni..”si quelle che si chiamano  Cansatessa e San Vittorino, oppure  ai Map di Pizzoli” oppure ancora : “ ah ma non lo sapevi , è morto l’anno scorso, s’è trasferito, sta ancora in albergo, vive alla caserma.”

La casa? Meglio non chiedere.” E’ stata demolita, abbattuta, sta ancora come tre anni fa. Ci piove dentro e s’è ammuffito tutto…”

Il concetto di prossimità e di spazio è completamente stravolto. Le 19 new town sono insediamenti temporanei e gli stessi abitanti che vi abitano sono temporanei; i contribuiti per l’emergenza sono temporanei, le stesse proroghe sono temporanee. Vita precaria in una città precaria. Sarà per questo che nella grammatica aquilana, come in quella del grande scrittore Kafka,  manca il tempo verbale del futuro?

Un aquilano non può dire “farò”: può dire: “tengo  fa’…”. Il futuro, nella grammatica aquilana esprime sempre un impegno un obbligo un fastidio o un dovere. Purtroppo siamo ancora alla fase dove per ognuno è più determinante il “tengo fa’” che il “tenemo fa’”. Manca una dimensione collettiva del problema sisma, pur essendo invece sostanzialmente un problema collettivo.

Ma è meglio non chiedere mai niente, agli aquilani.  E non fare domande insolenti  del tipo: “ Quando comincia la ricostruzione?” Capirebbero solo da questo che sei un forestiero; ti risponderebbero con un’alzata di spalle e ti pianterebbero lì, con la tua domanda o il tuo sondaggio, in mezzo al deserto e alle frustate del freddo inverno aquilano.

Buon anno, L’Aquilabellamè.

Patrizia Tocci

Paolo Rumiz e Alessandro Scillitani : nella dimora del vento, All’Aquila.

 All’Aquila, il 3 febbraio alle ore 17, presso l’Auditorium Serricchi-Carispaq, in Viale Pescara , ci sarà la presentazione del dvd “Le dimore del vento”con lo scrittore  Paolo Rumiz ed il regista  Alessandro Scillitani. E’ un ritorno gradito  ed importante per la città dell’Aquila.

“ La febbre dei luoghi abbandonati mi prese in Grecia”: con questa frase Paolo Rumiz, inesausto viaggiatore e  scrittore, giornalista del Piccolo di Trieste e di Repubblica,  comincia  e  giustifica il suo viaggio dell’estate 2011, alla ricerca delle  “Dimore del vento”, dei luoghi abbandonati, delle case degli Spiriti. Per la prima volta il viaggio è stato filmato da Alessandro Scillitani : diventato poi un dvd, distribuito con Repubblica.

Nel suo   viaggio lento,  Paolo Rumiz   percorre i “sentieri dei nidi di ragno”ormai chiusi,   sbarrati;  entra con delicatezza, scosta , cerca, domanda ai pochi umani presenti in quella totale desolazione. Tutti rispondono allo stesso modo: un luogo E’ memoria. E’ il concentrato dei volti e dei nomi che lo hanno addomesticato;  la storia   di intere comunità  può essere racchiusa in un toponimo, nella ruggine di una centrale abbandonata, nel nero di una torbiera, in una stazione dismessa, in una fabbrica sprangata, in un faro che non risplende più. Non sono ancora “rovine” nel senso archeologico del termine; fanno parte di un passato ancora prossimo , espunto velocemente dalla nostra memoria.

Luoghi che non troverete in nessuna guida, libro di viaggi o mappa. Rumiz aveva la sua, di mappa. Una carta fatta a mano, piena di nomi, numeri di telefono, contatti, suggerimenti, ombre da inseguire. L’ho vista, quella mappa, sul tavolo di uno dei pochi bar riaperti in una città abbandonata: L’Aquila, la città che non c’è. La mia città. Ho accompagnato Rumiz e Scilliitani nella zona rossa  ad  incontrare  le ombre e il silenzio,   le lancette ferme degli orologi;  scortati da un branco di cani, unici custodi del luogo. Meno male che qui  – e altrove –  esistono ancora i custodi dei luoghi:  animali totemici,  parole o persone che mantengono vive le memorie;  piccole divinità   benefiche che lottano disperatamente contro  i mangiatori di loto.

Dai Forti della Maddalena al deposito di scorie di Saluggia, dai ruderi di Rocca Calascio alla desolazione di Venezia, dalla casa del poeta Tommaso Landolfi  al cimitero di Lavezzi:  per  ritrovare la voce dei luoghi sopravvissuti alla  legge inesorabile della dimenticanza. Le immagini girate e catturate da Alessandro Scillitani si sposano perfettamente con le parole e l’andare di Rumiz,  impreziosite da musiche e silenzi che  ne sottolineano i  paesaggi e  i passaggi geografici; documentano  lo spazio del cibo, la sosta o  la magia degli incontri .  Viviamo o cerchiamo di vivere in un paese  dalla memoria corta che lascia marcire i suoi tesori, cancella i tratturi, incrementa le diaspore;  un paese che rinnega le sue origini, le sue caratteristiche peculiari. Così  può accadere  che il passato prossimo si trasformi in passato remoto:    rimosso   dall’oggi ,  confinato  invece in un eterno presente che ha tutte altre ragioni, tutte altre necessità. Ma  nessuna destinazione e neppure  memoria di sé.

 Riporto le parole di Rumiz, scritte su Repubblica del 14  Agosto 2011 : “Fu allora che uscì la Luna, dalla parte della Majella, la grande montagna madre, e dentro il mantice dei polmoni sentii gonfiarsi un canto silenzioso d’anarchia e di furore. Diceva: tornatevene aquilani, disobbedite ai divieti. Tornate prima che la città muoia, diventi archeologia. Tornate e riprendetene possesso con le vostre cose, i vostri rumori e i vostri odori. La zona è rossa, ma di vergogna per come viene preclusa ai vivi. Non consentite che le vostre strade diventino terra di cani. Sentite come il luogo vi chiama, come tutti i vostri morti vi chiamano. Non accettate di essere esuli in casa vostra. Non lasciate sole le vostre pietre.”

Nemmeno Paolo Rumiz e Alessandro Scillitani vogliono lasciare sole le nostre pietre. Per questo tornano. Perchè è come..un mal d’Aquila.

(La regia del video, tratto dai racconti di viaggio “Le case degli spiriti” pubblicati su “la Repubblica” nell’agosto 2011 e prodotto dalla Tico Film Company, è di Alessandro Scillitani.)LE DIMORE DEL VENTO

LETTERA DALLA POMPEI N. 2

Pompei n.2; una delle tante piazze dell'AquilaUNA LETTERA DALLA POMPEI N° 2

Caro Presidente Napolitano, Presidente Mario Monti, i Presidenti Fini e Schifani, scrivo per augurarvi buon anno dall’Aquila. Da una città che faceva parte dello stato Italiano e che era un capoluogo di regione. Ora è una città precaria ( sta un pò qui, un pò là..ad est e ad ovest): chi le abita ancora tenacemente attorno, nelle vicinanze, i  cosiddetti ex-aquilani, vivono , come me, una vita precaria in attesa di un orizzonte temporale ( il ritorno nella propria casa e nella città) che si allontana sempre di più.Identica cosa è accaduta per alcune le piccole frazioni e paesi del circondario. E’ impossibile riassumere qui le ragioni, le cose fatte o non fatte per cui siamo, adesso in questo delirio di immobilità. Vorrei solo capire se tra gli impegni del  Mio Presidente del mio paese – l’Italia, o tra le pagine dell’agenda del Presidente del consiglio, sia stata messa una di queste duemila cartoline che vi abbiamo spedito e che recita solamente: saluti dall’Aquila. Saluti da una città che da tre anni è in sala di rianimazione: nessuno ci crede davvero che possa riprendersi. Ma noi che crediamo nei miracoli laici, sì. Noi che veniamo a Roma per le manifestazioni – e invece dovreste venire voi qui, a vedere davvero la realtà e la verità: km e km di case vuote, chiuse, attività fallite, economia inesistente, macerie e puntellamenti, case che si sbriciolano: dall’altra parte conflitti di competenze, lungaggini, norme lente, o ancora inesistenti per ricostruire… Venite a vedere la POMPEI n 2, che appartiene ancora a tanti ex-cittadini vivi. Venite qui, in incognito, senza scorta e senza incontrare nessuno. Regalatevi una mattinata all’Aquila. Capirete finalmente la nostra ostinazione e la nostra sfiducia..C’è sempre un sacchetto di speranza, nei nostri pensieri. Ma vi abbiamo attinto così tante volte in questi tre anni che ce n’è rimasta ben poca. Ce ne rimane una sola, su cui fidare: che l’Italia non voglia fare a meno dell’Aquila. Oppure se non è così abbiate il coraggio di dirlo: spargeremo davvero il sale sulle sue-nostre rovine. Tanti auguri @Patrizia Tocci con la foto di Luigi Baglione ( L’Aquila, anno 3 post sisma)

DUEMILA CARTOLINE PER L’AQUILA

La cartolina porta l’ immagine realizzata da Luigi Baglione di Piazza San Pietro. E’ indirizzata alle 4 principali cariche dello stato Italiano: al preSidente Napolitano, al presidente Monti, al presidente Schifani e al presidente Fin.

Il 18 dicembre saremo a piazza Duomo dalle ore 10 alle 13; ve la regaleremo, pregandovi di… affrancarla e spedirla apponendo solo il vostro nome e cognome. Vogliamo ricordare in questo modo la condizione attuale della nostra città e di tutti i centri del cratere. All’evento saranno presEnti anche i FALCONIERI DELL’AQUILA

PER RICORDARE.

 Da un idea di Patrizia Tocci e Luigi Baglione. Le duemila cartoline sono state realizzate con il contributo di Paolo Leone e Gianni Ceccarelli. IL POMERIGGIO DALLE ORE 16.00 ALLE 18 SI REPLICA ALL’AQUILONE.

Il tombolo, le donne e la memoria dell’Aquila

Il sapore del tempo

Dove si fissa il primo punto di un tombolo? Sicuramente,  come tutti gli inizi,  è un momento importante. Bisogna farlo con lungimiranza;  farlo bene perché è il punto che dovrà sostenere tutto quello che verrà. Questo gruppo di donne ha un punto da cui partire, un punto in cui persino il “piumaccio” ha dondolato, sono caduti gli spilli e i fuselli si sono ingarbugliati. La polvere ha nascosto il colore del velluto,  l’umidità ha ispessito il filo. Sono passati, i giorni .Ma con la pazienza delle donne, a testa alta, giorno per giorno,  spillo dopo spillo,  molto  è stato recuperato. Le dita hanno ricominciato ad intrecciare, hanno ritrovato la sapienza antica che non s’era perduta, le voci hanno tessuto racconti e storie e si sono intrecciate altre vite. Attorno a ogni filo cresce il mito, attorno al gomitolo di Arianna, al filo delle Parche che segnava l’arrivo della morte, al filo della tela di penelope che tesseva e poi disfaceva, per ingannare l’attesa degli altri e la sua..Quando si spezza o finisce, il filo del tombolo,  sanno che c’è il nodo “tessitore”; con un pò di fatica si impara e si insegna che si può continuare. Sempre donne nel mito. Invece nella cultura contadina anche l’uomo sa intrecciare: la sapienza antica dei nostri contadini nel fare le trecce con le pannocchie di granturco, di cipolle o d’aglio per poi metterle a seccare in cantina, o fuori al sole,  quando ce ne è ancora,..Quelle trecce appese appena fuori la porta delle  case, che contavano il tempo e le stagioni; trecce di peperoncini o di cipolle rosse,  ben disposte ed armoniose, perché tutto in natura ha una sua geometria, come i disegni del tombolo. Avete mai visto la struttura di un fiocco di neve? Quella geometria cristallina  è anche nei disegni, nelle stelle di natale,  nelle  corolle delle rose, nei petali dei  gigli; è così che nascono  pizzi  ,  merletti,  intarsi,  sbuffi, persino i gioielli. Tutto in natura ha le stesse leggi di precisione matematica: il risultato di quest’equilibrio è sempre  l’armonia e  la bellezza. Le streghe cattive che  di notte scompigliano l’ordine stabilito, fanno nodi ai capelli che non si sciolgono: intrecciano i lacci dei grembiuli o delle scarpe con nodi difficili da sciogliere. Ma non possono nulla contro i poteri della luce e del giorno: contro le collane   di margherite o narcisi. Ho avuto  una nonna e una bisnonna che sapevano ricamare e cucire,  facevano maglioni e calzini a mano, cappelli,  scialli  e guanti di lana contro un inverno che davvero faceva paura.

Inventavano. Non avevano schemi né giornali: non sapevano leggere né scrivere. Ma conoscevano le leggi dell’armonia, la struttura di un fiore o di un mazzetto di fragole, le trame disegnate dai rami , la geometria  alternata delle foglie e delle spine. Non conoscevano il sistema binario ma se ne servivano per intrecciare le balze degli asciugamani di lino – un nodo si e un nodo no- e creare dal nulla la bellezza. Mi affascina tutto ciò che ha a che fare con un filo che si nutre d’aria, e muovendosi tra le mani si solidifica pian piano, fino ad assumere una forma, ancora fatta d’aria. Nascere. Forse questo è l’incanto che ci prende sempre, quando vendiamo un artigiano al lavoro. Qualsiasi manufatto  è figlio della sua pazienza, della sua abilità e del suo pensiero. Il tombolo ci racconta, se vogliamo ascoltarlo, il ritmo del tempo,  il gioco delle ore e delle stagioni e ci lega la filo della vita. Anche noi come tanti fuselli ci  siamo mossi un po’qui, un po’ là:  in ordine sparso. La nostra vita è stata sparpagliata, imbrogliata, confusa…

Zia Tecla non ha ritrovato tutti i fuselli del suo tombolo; e ha dovuto ricominciare tutto da capo, lasciare incompiuto quel disegno che era rimasto a metà,  cominciarne un altro. Quello rimasto a metà  lo  ha piegato e lo ha riposto in un cassetto segreto, quello che ancora profuma  di lavanda e una mela cotogna. Appuntato ben bene con gli spilli sulla carta paglia;   è l’unico  disegno  che non ha voluto terminare. Non adesso.  Anche queste donne hanno ricominciato. Tutti noi abbiamo ricominciato e non sappiamo ancora se le mani che ci guidano abbiano chiaro il disegno complessivo;  certe volte i fuselli si impicciano e ci vuole molta calma e pazienza. Calma, una forza calma come quella delle donne.  Le case dell’Aquila hanno ancora  bellissimi gigli in ferro battuto, che fanno capolino dai muri delle nostre case diroccate; erano la parte terminale delle catene che tenevano inchiodati all’interno i muri maestri, perché la nostra è sempre stata una terra ballerina. La parte terminale della catena  veniva arricchita con questi fiori in ferro battuto;  ogni giglio è diverso dall’altro, più o meno sontuoso, più o meno stilizzato. Sono ancora lì a ricordarci che chi non ha memoria non ha futuro. Abbiamo tutti il nostro piccolo tombolo da iniziare: togliere la polvere, raccogliere gli spilli, controllare se i fuselli ci sono tutti e  conservare buone scorte di filo.

 Forse, un giorno, tutti questi tomboli verranno inseriti in una grande tovaglia bianca.  La apriremo e la stenderemo con cura su un grande tavolo,  in una delle tante piazze della nostra città o dei piccoli paesi distrutti; una tovaglia attorno alla  quale possano di nuovo incontrarsi tutti quelli che sono stati sparpagliati, allontanati, cancellati.  In una piazza qualsiasi, con una fontana dove scorre ancora l’acqua, ballano  le voci della gente,  le finestre  traboccano di  fiori, le case tutte  tirate a nuovo, le porte aperte e i gatti, acciambellati  in una virgola di sole.  Ogni cosa ha il suo sapore, un odore, un profumo  nella memoria. Questi tomboli hanno il profumo e il disegno  del tempo. Per questo anch’io- che non so fare il tombolo – sono qui.  Patrizia Tocci

 http://youtu.be/HdEt6kK5HiU