Ognuno ha la sua fiaccola sotto il moggio. Io ho una piccola candela, in un bicchiere di vetro, che mi è stata portata da Amsterdam.Una candela profumata alla vaniglia. L’ho accesa nei momenti in cui volevo stare dentro me stessa, per diluire l’ansia e la tensione. Poche volte è accaduto anche con la felicità. Quando mi sono sentita una ginestra, ho piegato il collo, ho detto sì al mio destino, ho pensato : “ passerà”.
Ho bruciato i colori dell’Andalusia, le ombre nere di Venezia, le bianche pietre dei campielli di malinconia, le veloci autostrade della Francia e la gonna colorata di Parigi, le strade dolci dell’Austria, i giochi di luce sulle sabbie di Sardegna, il bianco accecante delle masserie pugliesi, le catene del ponte di Budapest, i viaggi fatti con i libri in mano che chiamavano altri viaggi e quella poesia di Borges che ti ricorda che alla fine di questo girovagare senza senso, è il tuo profilo che si compone; le parole avventate, quelle del giorno e quelle della notte; i profumi fruttati e sensuali, nascosti tra i fogli umidi dei lenzuoli o quelli con cui incarti il dolore che non puoi chiamare col suo nome e soprattutto la mia infanzia, il ricordo della mia infanzia. Ho avuto il privilegio di vedere le lucciole, a raggiera, nelle notti d’estate; ho avuto la fortuna di poterle tenere in una mano o chiuderle in un barattolo di vetro, respirando la notte della campagna, quel mallo scuro di silenzio; l’oro filato del grano e le guance accese dei papaveri, l’odore dei tigli lungo i viali della mia città. Ci percorre ancora assieme al sangue, quel canto delle stelle che ci obbliga sempre ad ascoltarlo: il canto dell’uomo solo. E della donna solitaria. E’ il canto che conoscono la conchiglia e il pioppo. È il canto delle mani che si sfiorano e che sanno stare sole, chiuse a guscio, a pigna, a noce. Questo è il mio canto. Il canto della candela che non finisce mai, perché le vergini stolte e sciocche lo riempiono ogni notte, per ogni parola letta e scritta, per ogni numero sottratto o raddoppiato, per ogni verso dimenticato e cancellato, per ogni nome nuovo.
Sta sotto l’altare di Visnu o di Geova, illumina le braccia del Cristo o i versetti perfetti del Corano, e’ una preghiera buddista affidata al vento del Gran Sasso, una piccola sillaba di fronte al solstizio di giugno.
Nell’ aria pulita crescono i profumi di mentuccia, vaniglia e di ginestra. Una piccola luce che si mescola a quella ben più potente di uno splendido tramonto estivo. Ho acceso la mia lucciola. Perché vorrei , come tanti anni fa, poterla trattenere in un vasetto di vetro, tenerla nel mio pugno, per poco e poi lasciarla andare via, nella notte finalmente fresca. Che si unisca alle stelle, ai ricordi. Che riporti alla mente filastrocche e densità. Che mi lasci camminare a piedi nudi sul mio cuore. Che è ancora, un cuore di bambina.
Patrizia Tocci©ripr.riserv.