Vorremmo mettere in luce soprattutto la matrice aquilana della scrittrice, come ha già rilevato Antonio Cordeschi, ed invitarvi a ripercorrere la città; alcuni luoghi o atmosfere sono, anche se distrutti dal terremoto del 6 aprile 2009, per fortuna ancora sotto i nostri occhi; seppure appena modificati dalla fantasia creatrice sono comunque sempre riconoscibili.
La casa nella quale la scrittrice trascorse molti anni della sua vita si trova ancora in via Garibaldi 75; al secondo piano i piccoli e stretti balconcini ai quali avremmo potuto vederla affacciarsi, soprattutto in alcune ore della giornata, intenta a guardare il “casamento” di fronte, in via Garibaldi 60, nel quale ambientò proprio L’Imputata. “ Quel prospetto rientrante, i vuoti per i giardini, lo spazio in mezzo e il cortile dietro il portico a due archi, una fontanella a conchiglia guarniva il pilone delle arcate. Ne ricopriva la metà un glicine fronzutissimo.” C’erano “ due palme trapiantate nella terra del giardino, d’autunno chiamavano un giardiniere per impagliarle.” Il Casamento descritto dalla scrittrice è quindi esattamente quello che aveva sotto gli occhi: l’architettura del palazzo è sostanzialmente immutata, al suo posto ancora la fontanella a forma di conchiglia utilizzata come vaso per una bella felce; le due palme erano nel giardino fino a poco tempo fa e secondo l’informazione avuta dalla famiglia Bafile, sono state recentemente tagliate. Persino nei cognomi che la scrittrice attribuisce ai suoi personaggi si ripresenta questo lieve scarto dalla realtà: in mezzo a tanti cognomi aquilani ritroviamo anche quello degli attuali abitanti appena modificato in “ Basile.” Nel romanzo, al cantone del palazzo, vicino al cancello di ferro, il gruppo dei bambini trova abbandonato e forse ancora vivo, un bambino appena nato e avvolto in un foglio di giornale. Accanto sopra e intorno a questo fatto scarno, ( oggi sarebbe un trafiletto sul giornale), la scrittrice inventa e costruisce un mondo di personaggi e situazioni. Spesso per la nostra scrittrice, la cronaca fa scattare la molla del racconto. Nel romanzo è presente, non molto lontano da Via Garibaldi, “Il Casino di Via del Capro.” Prima che le case di tolleranza venissero chiuse con la Legge Merlin, in città c’era davvero un edificio di questo genere e proprio all’incrocio tra via del Capro e via della Mezzaluna. Oggi è una normale abitazione e tracce di questa storia resistono soltanto nella memoria dei più anziani. Una delle mete preferite da Gianni Falcone ( protagonista principale del romanzo) è il Chiassetto del Campanaro e la chiesa adiacente; la chiesa con la pavimentazione del sagrato a spina di pesce è senz’altro quella di Santa Maria Paganica. Stessa deformazione avviene per uno dei simboli centrali del romanzo: lo stemma con la testa d’angelo, lo scudo e l’ala in volo trafitta da una freccia, al contrario di quanto si è ritenuto finora, esiste davvero; si trova però in tutt’altra zona, nel quartiere di San Flaviano, in via Celestino V, sul portale della chiesa dei Barnabiti, appena restaurata e più conosciuta come “teatro dei Celestini” utilizzata negli anni più recenti come spazio teatrale. Forse la Bonanni conosceva bene questo stemma perché dal 1866 la chiesa aveva ospitato anche la scuola Magistrale. Grazie al realismo della Bonanni, la sua opera rappresenta per noi una fonte inesauribile di informazioni e ci aiuta anche a ricostruire la memoria storica e antropologica che è poi la vera ricchezza di una città.
La città dell’Aquila, oltre che ne L’Imputata e a numerosi articoli di giornale è presente anche in altre opere della scrittrice Laudomia Bonanni. Il Quartiere di San Pietro a Coppito non è mai nominato esplicitamente ma è sicuramente lo scenario nel quale si svolge la parte finale di Vietato ai minori. Il carcere è quello di San Domenico, riconoscibilissimo; i “leoni duecenteschi “ sono ancora collocati al lato della chiesa di San Pietro e sono sempre quelli “lisciati ad avorio dalle cavalcate dei bambini”; le bifore, gli archi a sesto acuto dei bassi, dipinti ogni anno di celeste, ne conservano ancora qualche sbiadita testimonianza. Sempre in questo libro la Bonanni ci regala una vista panoramica della città, dalla terrazza del Grand Hotel: la cascata dei tetti, le chiese con i rosoni, la pietra secolare: i muri e i tetti della città vecchia che assumono soprattutto al tramonto un riverbero particolare, un impasto di arancione ed ocra veramente suggestivo. Anche la descrizione della vita che si svolge nei vicoli ci riporta rumori, odori e frammenti di storia appena lontana : “con i solicelli lucenti di Marzo il vicolo si rimise a vivere agli usci e alle finestre. I fuselli del tombolo di zia Tecla tintinnarono di nuovo all’aperto” (Palma e le altre); oppure la fioritura e il profumo del viale dei tigli che “percorrevo ogni giorno con i libri di scuola sotto il braccio” ( Le droghe) , oppure i colori: “Pia stava sempre a guardare le montagne : il Corno con la neve e la neve al tramonto si fa rosa.” ( Palma e le altre).; oppure dal fossato del Castello: “ dai bastioni erano riuscite le cornacchie e a qualsiasi ora arrivavano coppie di studenti coi libri sotto il braccio…Gianni andava ad appoggiarsi al parapetto, sulla pietra stiepidita dal sole. Nubi enormi, a dirigibile, stavano ferme con la base orizzontale da una montagna all’altra.” ( L’imputata)
Così nell’articolo Il fiore del terremoto ci svela la ragione per la quale molte abitazioni aquilane hanno sugli spigoli, come ornamento dei tiranti, i gigli neri di ferro battuto, di varie fogge e di bellissime forme ; sono un ringraziamento dei rispettivi abitanti per essere rimasti vivi dopo il terremoto del 1703. Quindi la data di ogni costruzione “ gigliata” della nostra città si può far risalire almeno a questo periodo. Questi ex-voto che abbelliscono i nostri incroci e vicoli, tranne alcune lodevoli eccezioni spesso sono trascurati, verniciati con la stessa tintura del muro, diventati supporti aggrovigliati con i fili della luce, e quindi quasi invisibili e soprattutto sconosciuti. E’ importante preservare e conservare ciò che gli scrittori hanno visto e poi descritto nelle loro opere; pensiamo a Gavino Ledda e ad alcune zone della sua Sardegna, salvate recentemente grazie a questa nuova sensibilità, da sicura distruzione; aL Caffè di Lisbona, impensabile senza la statua in bronzo di Ferdinando Pessoa, alla Ferrara di Giorgio Bassani dove si è creato un parco letterario con guide e itinerari per far conoscere il Giardino dei Finzi-Contini o altri luoghi legati all’opera dello scrittore… Per quanto ci riguarda direttamente, questa nostra città che ha dato i natali alla Bonanni dovrebbe comprendere e valutare appieno il dono prezioso che la scrittrice ci ha fatto, consegnandoci il suo sguardo sulla città: uno scrigno pieno di memorie storiche e antropologiche, dettagli topografici ed architettonici, usi e abitudini, dimensioni emozionali nel ricordo di colori, profumi, rumori. Forse una maggiore attenzione e conoscenza dell’opera della scrittrice ci aiuterebbe anche a conoscere, valorizzare e conservare sempre di più questa nostra città: uno scrittore è sempre uno scrigno di memorie, anche per la collettività. Adesso è ancora più importante di prima.