Un deserto digitale

Io l’ho incontrato davvero babbo Natale, due giorni fa. Non aveva la pancia né il vestito rosso, nè il cappello con il pon pon bianco; senza la barba, ma una vaschetta calcato sulla calvizie. Un giaccone di quelli buoni per tutte le stagioni, con le tasche rigonfie. Se ne stava fermo, solo lui, in mezzo al vialone affollato in cui correnti alternate di persone andavano avanti ed indietro, nello sfarfallio di luci colorate. Aveva un cellulare  in mano, di quelli ormai vecchi come lui; gli occhiali calati sulla punta del naso. Le mani gli tremano mentre cercava di compitare il numero che stava scritto sul retro del telefono; impiegava troppo tempo o sbagliava e ricominciava da capo. Guardavo quelle manisconsolate. Mi sono fermata e subito mi ha sorriso. Ho visto i suoi occhi belli e azzurri, uno sguardo dolce e timido. Ho preso il suo telefono e digitato il numero incollato sul retro. Ha risposto una voce e si è illuminato. “È mia figlia, sai , signorì, lavora qui vicinoe viene a prendermi per Natale. È L’ unica figlia che mi rispetta. Gli altri due non li vedo più da anni. Fai buon natale, signorì, che la Madonna t’accompagni.” Signorì, rispetto, e quell’augurio…Sotto la mascherina, tra gli occhiali appannati e gli occhi un po’ umidi, ho ripreso la via di casa. E pensavo: mi piacerebbe inventare e brevettare un telefono facile. Uno di quelli che premi un bottone e dici : chiama mio figlio, chiama Rosa, chiama casa: e ti compaiono subito le persone che ami. Quelle poche. Senza abbonamento, il Wi-Fi gratuito. Invece  abbiamo confinato questi giganti in un deserto digitale, tracciato confini invisibili, divietiinsormontabili, una sacca di emarginazione. E più i cellulari sono mirabolanti e stupendi, più sembrano facili e più invece sono difficili. Ecco, se mi legge qualcuno, un Babbo Natale o una Befana che crea queste autostrade telematiche, mi piacerebbe che tenesse conto di chi rimane arroccato su quei paesini in cima a una montagna di silenzio.

 

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